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domenica 15 gennaio 2012

Repost: Un inizio scartato di romanzo: "Futurus" / 13-03-2010

Futurus

Mario levò gli occhi al cielo.
Era davvero una bella giornata, da non lasciarsi sfuggire.
Il cielo mostrava le sue sfumature violacee in tutto il suo splendore, mentre addirittura il sole aveva fatto capolino al di là delle nubi, svelando il suo disco giallo pallido velato dal SAR.
Certo doveva essere una vera seccatura, abitare in un mondo non-schermato, come facevano quelli sulla Luna, ma quelli erano sempre stati pazzi: da quando l’ONU di Jackson aveva dato l’avvio allo sfruttamento del suolo lunare, la peggior manica di scemi si era precipitata sul satellite, freddo e inospitale; dai nostalgici anti-nucleare ai Cristiani, antica setta sopravvissuta alla Guerra, fino ad arrivare ai repubblicani e ai comunisti, per non parlare poi degli Apolidi, di quelli che avevano rifiutato, all’inizio della guerra, la propria nazionalità per non combattere.
Era stato un bene che fossero andati lì, dove non avrebbero ammorbato l’aria con le loro sporche teorie e tutte le loro fissazioni sulla natura.
La Natura anzi, con la maiuscola, quella che gli Scout (altra setta sopravvissuta, della quale si vociferava anzi che avesse contribuito al sabotaggio di diverse bombe H62 e di numerosi attacchi) consideravano un bene prezioso, gli stessi Scout che si rifiutavano dopo di usare i Technologium bacteri per la depurazione dell’acqua dalle scorie.
“Causeranno mutazioni, e quei batteri provocheranno malattie”. Puah! Come se fosse un mistero che era stato Alfred Tinnigan a introdurre i batteri da lui modificati nell’ambiente*, quel pazzo misantropo.
Ma quella era una giornata splendida, con il suo odore di sodio e le pareti dei palazzi striate di marrone e grigio: quella notte aveva piovuto, evidentemente… una vera fortuna che nessuno fosse in giro, altrimenti la Squadra Disinfezioni avrebbe avuto
un bel po’ di lavoro extra!
Davvero una giornata meravigliosa… forse avrebbe portato i bambini, in uno degli spazi-picnic. Non gli era ancora capitato di andarci, da quando si era trasferito in città; quelli della campagna col cavolo che se lo sognavano, un parco così! Al massimo, fuori si poteva tenere qualche plastree**, così, per fare bella figura, tra le coltivazioni idroponiche, ma alberi veri… solo i Comuni potevano permetterseli, e neanche tutti: per fortuna Roma, come Capoprovincia, poteva… dopotutto l’Italia tirava ancora un bel po’ con il turismo, soprattutto per il Pirellone e l’Ara Pacis, esempi dell’architettura Classica del XXI secolo, gli unici rimasti dopo i microbombardamenti e i saccheggi dei Lunari.
I Lunatici, come li chiamava la piccola Elisabetta… Mario non trattenne un sorriso di scherno, rivolgendo gli occhi al cielo come a voler cercare l’invisibile satellite.
Era per questo che era nato il SAR… lo Schermo Anti-Radiazioni: per impedire alla Luna di mostrare la sua faccia odiosa, da traditrice, alla Terra, per non rischiare un’altra guerra; la Terra aveva bisogno di pace, l’aveva ottenuta a duro prezzo e l’avrebbe mantenuta ad ogni costo.
Camminando, Mario avvertì un leggero senso di nausea. Succedeva, quando si usciva senza aver mangiato: il sodio e il potassio presenti nell’aria irritavano la mucosa gastrica, che secerneva i suoi succhi anche senza cibo; quella mattina, però, era
quasi in ritardo al lavoro, e due chilometri a piedi non sono uno scherzo!
A pensarci bene, di una cosa Mario sentiva la mancanza, per una sola cosa invidiava i Lunatici: loro avevano, almeno, tutta l’energia necessaria, mentre sulla Terra era da pochi decenni iniziato il razionamento. Non poteva essere altrimenti: senza quasi più petrolio né uranio, esauritisi per la guerra, senza l’energia solare né quella eolica (il vento aveva smesso di soffiare, dall’accensione del SAR), con solo il calore interno della Terra e le riserve di carbone e petrolio Americane, non si potevano usare più auto, né avere elettricità per tutto il giorno.
Ma era un sacrificio sopportabile, per la pace duratura, l’ordine sociale e il benessere comune.
Un governo centralizzato, una burocrazia unificata, un solo linguaggio, una sola moneta, uguaglianza per tutti: U.S.A., l’Unità Statale per l’Amministrazione, sapeva prendere decisioni precise, affidabili e soprattutto orientate al bene comune: con i suoi milioni di sensori sparsi sul pianeta aveva sostituito per sempre le obsolete democrazie rappresentative, con i loro stupidi problemi e le magagne.
Al solo pensiero di essere davvero “Libero, come una piccola rotella nell’ingranaggio del Mondo”, come recitava lo slogan dei sostenitori di U.S.A., il petto di Mario si riempì d’orgoglio e gli sembrò quasi di respirare più leggero.
Arrivato al lavoro, timbrò il cartellino, si sedette alla scrivania e, nei tre-quattro minuti che mancavano all’apertura delle linee telefoniche, pensò con soddisfazione al suo lavoro.
La Banca del Seme non era più, come in passato, un posto dedicato a poche coppie sfortunate, ma era diventato una vera e propria istituzione: dopo l’ondata crescente di sterilità dovuta alle radiazioni, le coppie in grado di generare autonomamente erano diventate una rarità, e uno degli ultimi governi “umani”, il governo Smithson-Daniell, aveva stabilito che ogni essere umano fertile si recasse dalla Banca più vicina per depositare il suo patrimonio genetico, sotto forma di spermatozoi o di ovuli, pena la morte.
Il suo era un lavoro nobile: in quanto direttore della Filiale di Roma, provvedeva affinché la Stirpe Italica si perpetuasse, e con essa il genere umano: non poteva scherzare, bisognava stare attentissimi a individuare eventuali gameti mutanti e scartarli, destinandoli all’Istituto di Ricerca sulle Mutazioni, dove sarebbero stati poi fecondati e condotti ad alcune settimane di gravidanza artificiale per studiare gli effetti a lungo termine della Guerra.
Una spia rossa si accese sulla sua scrivania, affianco al telefono: dieci secondi all’attivazione delle linee, che sanciva l’inizio del lavoro.
Mario soffocò la domanda che lo premeva da svariati anni ogni notte, che lo teneva sveglio per ore senza potersi muovere: cosa avveniva sulla Luna?
Qualcuno gli aveva detto, per esserci stato in viaggio d’affari prima che installassero il SAR, che grazie ad un controllo gravitazionale, erano riusciti ad avere un’atmosfera e a far crescere piante e allevare animali all’aria aperta, e che anche loro avevano una lingua (ma non un governo) unica, che usavano nelle occasioni ufficiali: il “Latino”, che a quanto pare era una lingua già esistita sulla Terra nell’antichità, parecchi secoli prima.
Vivevano davvero peggio di lì, come da anni Mario si costringeva a pensare, oppure erano i Terrestri che non sapevano più come fosse la vita vera?
Un’ombra di malinconia, un ricordo d’infanzia passò rapido tra le rughe della fronte, mentre con solerzia alzava la cornetta che squillando gli ricordava, dolcemente ma con fermezza, che doveva mettersi all’opera.
<<0918 pronto>> rispose.
Sorridendo mitemente Mario 0918*** aprì un cassetto sulla destra, prese alcune carte e lo richiuse.
Sul fondo a specchio della sua scrivania osservò il suo aspetto; i capelli ormai brizzolati gli coprivano però più della metà della calotta cranica, e il suo profilo si manteneva moderatamente superbo: “D’altra parte” pensò poi, “non si può avere tutto dalla vita, a ventiquattro anni. Bisognerà pur accontentarsi!”.

Sabato 27 gennaio 2007

* questa storia di Alfred Tinnigan in realtà era una montatura del governo per nascondere il fatto che c'erano state delle mutazioni spontanee di questi batteri.
**sarebbe la contrazione di “plastic tree” (alberi di plastica).
*** le persone hanno un numero al posto del cognome per identificare la loro famiglia.

Ecco qui: nelle intenzioni, questo sarebbe dovuto essere il primo capitolo di un romanzo di fantascienza, ma come potete ben notare non sono tanto a mio agio in questo genere (pur essendone un affezionatissimo lettore)... mi sono vergognato di aver scopiazzato troppo Orwell, e ho lasciato perdere. Lo piazzo nella sezione utopica perchè credo che ci stia a pennello, anche se avevo pensato di postare un altro brano, ma è parecchio immaturo e voglio limarlo ancora un po' prima di darvelo in pasto. Considerate questo come uno stuzzichino...

Alla prossima
Grillo Sognatore

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