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lunedì 30 gennaio 2012

Repost: Esame da "fare"? (+ involontaria recensione: Vladimir Nabokov, "Fuoco pallido") / 19/09/2010

Teoria della letteratura è un esame che NON vuole proprio essere studiato. Non è colpa mia, spiecente, è che è troppo leggero per essere un esame: pieno di romanzi e racconti, solo una cinquantina di pagine di saggi... come posso divorare mezza bibliografia di Nabokov in tre giorni? Nabokov richiede una vita di impegno, dedizione, pazienza, lettura e rilettura
certosina...
Nabokov (quello di Lolita, per intenderci) è un genio. Un G-E-N-I-O (badate che ho sempre odiato quelli che scrivono così, tipo è IN-CRE-DI-BI-LE per sembrare più americani come scrittori, per dare il senso di quelle pronunce di avverbi e aggettivi inglesi che loro sillabano in maniera, francamente, ridicola. l'ho sempre odiato e infatti quella parola non va letta così: l'ho solo evidenziata per farvela leggere meglio. chiusa parentesi).
Dico, un genio. Uno che non aveva paura di niente nella sua vita: intellettualmente, intendo. Uno che oltre a scrivere dei romanzi fantasticamente anti-romanzeschi, in bilico tra il bordo della pagina e quello della realtà, faceva l'entomologo, di professione. Giuro. Lui raccoglieva farfalle e le catalogava, ne ha scoperto perfino una specie nuova, l'Euphytecia nabokovi. Non ci si può credere.
E io per l'esame, entro domani, devo leggere una metà dei suoi racconti e un libro di sue interviste, oltre che rileggere Lolita e altri due romanzi (Fuoco pallido e La vera vita di Sebastian Knight) semplicemente incredibili. E non uso la parola a sproposito: dico incredibili perchè non si riesce a credere (soprattutto per Fuoco pallido) che qualcuno abbia scritto un romanzo in quella maniera. Mi spiego.
Fuoco pallido non è un romanzo in senso stretto. E' un poema in quattro canti, con relativo commento in fondo, con note strutturate esattamente come quelle dei libri di poesia in cui non si è voluto metterle a piè di pagina. In pratica voi, se non conoscete l'autore, saltate elegantemente la Prefazione, vi leggete il poema (lungo esattamente 30 pagine nell'edizione Adelphi) e pensate: embè? 'Sti quattro canti parlano della vita di questo tizio, dei suoi pensieri filosofici, eccetera. E io adesso mi dovrei leggere 240 pagine di "note" per capire che cosa?
Qui c'è il bello. Le note in fondo al poema sono il romanzo. Quelle note sono state scritte da uno che praticamente ha fregato il poema all'autore poco prima che morisse, e che ora lo sta commentando travisando completamente le sue intenzioni. Si tratta di Charles Kinbote, uno studioso della stessa università in cui insegnava John Shade (il suddetto autore), che è convinto che quel poema tratti della sua vita e di Zembla, la sua patria (paese fittizio che s'immagina sia nel Nord Europa). Kinbote è in esilio negli USA, è andato a insegnare lì e da vicino di casa degli Shade ha sviluppato una specie di monomania che gli fa credere che il povero John sia interessato alla sua storia tanto da scriverci un poema. Lo pedina, lo spia dalla sua casa, cerca in ogni modo di leggere lo scritto e quando ci riesce finalmente... vabbè non vi dico il finale.
Ma anche se ve lo dicessi (tanto lo dice Kinbote stesso nelle primissime righe, nella sua Prefazione che - a questo punto capite perchè non va saltata - è fittizia pure quella, fa parte del romanzo eccome!) non vi avrei svelato niente. Perchè questo Kinbote - che non si capisce se sia chi dice di essere (e che non vi dirò) oppure un pazzo, oppure uno che era sano all'inizio e impazzisce gradualmente - è uno studioso da strapazzo che l'autore vero, Nabokov, si diverte tantissimo a prendere in giro, questa è la vera storia, e non potrei riassumerla neanche se volessi, peerchè è impossibile.
Quindi ricapitolando: Fuoco pallido è la storia, raccontata tramite il commento a un poemetto autobiografico in quattro canti di John Shade, di un travisamento, di un esilio, di una nazione in rivolta, di una mania, di un assassinio, di tante altre cose che sembrerebbe impossibile raccontare in questa maniera. E invece V.N. ce la fa, e ce la fa benissimo, e in mezzo ci mette di tutto, dalle considerazioni sull'aldilà alla storia di un suicidio, intrecciando la storia di Shade con quella di Kinbote con quella della figlia di Shade con quella di Jakob Gradus con quella della moglie di Shade e quella di numerosi Zemblani che in un modo o nell'altro entrano nelle note, senza azzeccarci una cippa di quello che il povero Shade voleva dire.
Una storia favolosa (anche questa parola non è usata a sproposito: voglio proprio dire che sembra una favola, tant'è irreale, ma raccontata così bene che uno se la sciroppa fino alla fine!).
Senza volerlo ho scritto una recensione al libro, e in realtà non mi è neanche piaciuto così tanto! Voglio dire, se dovessi scegliere, ancora più di Fuoco pallido e di Lolita, direi che il mio preferito finora è La vera vita di Sebastian Knight, che merita di essere recensito a parte perchè troppo, troppo, troppo bello.
Altro che Moccia, altro che Stieg Larsson*!

Beh, dopo questa involontaria recensione (che doveva solo essere uno sfogo per il poco studio pre-esame), vi saluto.

Alla prossima!

*preciso di essere un grande fan del buonanima Larsson, solo che anche se fosse vissuto altri cent'anni non avrebbe raggiunto un'unghia di Nabokov. Di Moccia, invece, NON sono affatto fan e anzi gradirei vedere al rogo la sua produzione letteraria.

Alla prossima
Grillo Sognatore

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