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domenica 15 gennaio 2012

Repost: Giovanni allevi: semplicemente, un mito. / 9-03-2008

Noi siamo lì, seduti sulle poltroncine del teatro, che aspettiamo.
Poi, mentre sto scrivendo un sms, le luci si spengono e parte un applauso fortissimo. Lui è entrato, e tutti sorridono, e lui lì sommerso dagli applausi, che sembra scomparire sotto la massa degli sguardi che le persone gli gettano addosso. Vorrebbe essere invisibile, entrare senza essere guardato. Eppure è lì, e si becca un applausone infinito ed è costretto a caricarsi sulle spelle il peso di tutta l'attesa di tutte quelle persone, di tutti noi.
Poi accade l'incredibile. Lui si scrolla tutto questo peso di dosso con un sorriso. e tutto diventa facile, bello, liscio, leggero.
Ci ringrazia. Giunge la mani. Con la sua voce quasi goffa si stringe sul microfono, quasi come se dovesse fare una dichiarazione d'amore e quello fosse il suo mazzo di rose, e noi fossimo la donna della sua vita. Poi si siede sullo sgabello, accarezza la tastiera, raccomanda al pianoforte di fare il bravo, di non tradirlo, poi si lascia andare.
Ed è miracolo. La cappa di aspettative che avevamo accumulato si scioglie come zucchero filato, e la musica scivola come l'olio su un piano liscio. Con una facilità impressionante, note come grappoli di bolle di sapone esplodono l'uno dopo l'altro tintinnando, percosse dai martelletti della tastiera, mentre le dita vanno avanti e dietro come se non avessero niente a che fare con quella melodia, come se lui fosse un bimbo che si diverte a strimpellare il pianoforte della nonna gioendo come un pazzo, ebbro di felicità. E tuttavia, nel movimento febbrile ed estatico di quelle mani, la musica si espande e si libera nell'aria vibrando e facendoci vibrare, come se noi fossimo le corde di quel piano. E lui lì, che si diverte da matti. Uno spettacolo! Sembra che non lo faccia apposta, a creare questa meraviglia; come se quel bimbo, involontariamente, buttando le mani a casaccio sui tasti, facesse uscire una sinfonia.
Smette di suonare, riprende il microfono in mano, ci parla, si vergogna di nuovo, si toglie la felpa e riprende.
Che musica! Non vedo più le sue dita, divine, più veloci della luce; quei tasti non hanno peso, cedono come burro sotto la pioggia di note che cade fittissima fino a toglierci il respiro; e come una droga ci ritroviamo ad essere dipendenti da essa; s'impossessa del nostro corpo, ci stringe, ci ruba gli occhi, che non riescono a staccarglisi di dosso; e quando, con uno stacco improvviso, termina, come se il cordone ombelicale ci fosse stato tagliato una seconda volta torniamo a vivere, rinasciamo.
Lui si alza, si inchina. E scoppia un applauso lungo, interminabile, fremente di gioia; e ci alziamo in piedi, lo sommergiamo di nuovo, ma questa volta d'affetto, di gratitudine, di solidarietà; lui fa finta di andarsene, ma in mille lo richiamiamo. <<Bis! Bis! Bis!>> è un urlo unanime. qualcuno è più esplicito: <<sei un grande!!!>>. Lui, tornato, sorride, di nuovo. E di nuovo il mondo diventa cristallino, limpido, senza difetti, un'immensa danza di note, un flow ininterrotto di sguardi gesti parole musiche. Ci regala il bis. Poi si scusa per non potersi fermare, deve partire subito dopo il concerto, ci chiede di perdonarlo. E non è una metafora: ce lo chiede davvero. Noi rispondiamo, a modo nostro, chiedendogli un altro bis, che
lui ci concede.
Poi va via, in un altro applauso, scappando dal nostro entusiasmo, da noi che lo aggrediremmo volentieri per strappargli un autografo, una foto, un ciuffo di capelli, qualcosa di lui. E
tuttavia sappiamo che ci ha dato qualcosa di sè di ben più profondo, di molto più intimo di una firma o un'immagine; ci ha dato la sua musica, il suo mondo raccontato pezzo per pezzo. Qualsiasi altra cosa è superflua.
Usciamo, storditi da tanta bellezza. Il mondo, là fuori, sembra riprendere la sua solita espressione ambigua, tra il divino e il demoniaco. Noi lo illuminiamo, canticchiando musica senza parole, tan-ta-ra-tan-tan-tan, simulando la mani sul pianoforte, respirando a
pieni polmoni l'aria frescolina di marzo. e tutto acquista splendore, si semplifica, si schiarisce. L'orologio degli dèi suona, come sempre, regolare, a ricordarci che siamo vivi.

Alla prossima
Grillo Sognatore

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