Pagine

venerdì 24 gennaio 2014

Si scrive, si gioca.

Ogni volta che la mia mano si posa su un foglio, che sia di carta o virtuale, con la mente smetto di essere me stesso, e nello stesso tempo lo sono davvero. Smetto di essere “quello che dovrei essere”, quello a cui dovrei preoccuparmi di assomigliare, e divento – o ritorno – la semplice persona che sono: una persona fatta di sogni, di idee, di fantasia.
La mia essenza è quella del viaggiatore di mondi: mondi inventati o reali, alcuni esistiti solo nella mia mente, altri già abbozzati o esplorati, altri ancora che fanno parte di un immaginario collettivo, di archetipi dai quali, come in un pozzo senza fine, poter attingere l'acqua della vita. Una vita fittizia forse, ma pur sempre palpitante. Perché il libro – la letteratura, direbbe il prof dentro di me – non smette mai di vivere. È un simbionte che si attacca a chi lo riceve, al lettore, e da lui riceve sempre nuova energia per scrollarsi di dosso la polvere e resuscitare. A prima vista lo si direbbe un insieme di fogli e parole fissate per sempre in modo statico, una statua praticamente. Non c'è nulla di più sclerotizzato, di più mummificato. Il discorso orale, quello si che è la vera vita. Ma verba volant, scripta manent, e così il discorso orale – pur se davvero “vivo” nel senso stretto del termine, pieno di inflessioni, tic, sbagli, sottintesi, gesti – si perde nel vento, ne resta, dopo pochi secondi, solo l'eco che il cervello altrui ha registrato. Un riflesso che sbiadisce dopo poco, del quale si perdono i lineamenti, che lascia solo la traccia dell'essenziale (più spesso dell'inessenziale). La parola parlata si presta solo alla falsificazione, alla manipolazione. La traccia scritta, invece, resta e si presta all'operazione più multiforme di tutte: al gioco.

Scrivere, infatti, presuppone un dato che tutti sembrano dimenticare, che solo ai grandi scrittori è dato tenere sempre a mente: che con la scrittura si gioca. Spesso è un gioco in cui ci si fa male, a volte è addirittura mortale, ma resta sempre e comunque un gioco. La scrittura non è essenziale al mondo: lo sappiamo benissimo. Chi crede sia indispensabile alla vita gioca a sua volta a fare il serio, ma si rende benissimo conto che al di là del foglio c'è solo aria. Solo, fa finta che i suoi castelli, fatti con quei stessi fogli, siano costruiti su basi di cemento e acciaio come i veri palazzi. È solo un altro costruttore disonesto come ce ne sono tanti in giro, spaccia condomini fatti con sabbia e calce come se fossero antisismici. Ma chi è furbo lo sa, che la letteratura di per sé non vale niente. Si vive anche senza: è per questo che l'unico modo per tenerla viva è giocarci, sapendo che a conti fatti le colonne del dare e avere con la vita sono sempre a zero, ma con un po' di finanza creativa, giocando con i numeri immaginari, con quelli irrazionali e sfuggendo alla tirannia di Euclide si può fare finta di essere ricchi, arrivando perfino a ingannare la Borsa, facendosi quotare giorno per giorno in su o in giù, seguendo il capriccio del cuore umano, più instabile dell'indice più ballerino.

Alla prossima
Grillo Sognatore