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lunedì 30 gennaio 2012

Repost: [Apologo] Un Re / 02/03/2011

Avevo voglia da un sacco di tempo di postare questo racconto, che ha un significato molto bello (spiegato in fondo), poi non so perchè me n'ero dimenticato: l'ho trovato ieri mentre facevo un po' di ordine tra i miei scritti (a proposito, vorrei anche parlare dei miei progetti, ma lo farò domani).


Un Re

Buongiorno, mi presento, sono un Re.
Governo un Reame non molto vasto, ma abbastanza confortevole da poterci vivere in tranquillità.
Certo, anche noi come tutti gli altri reami abbiamo screzi con i confinanti - ora un abuso da parte dell'esercito ad Est, ora uno da Ovest, ora invece una pretesa dinastica, eccetera, insomma tutte le cose che possono succedere nei normali rapporti tra Stati sovrani, a volte basta anche solo che l'interprete sbagli a tradurre una frase dell'ambasciatore e subito partono gli eserciti - ma nel complesso viviamo piuttosto bene.
Bene, se si eccettua la contesa di Conscience.
Conscience è un piccolo pacifico paesino di nessuna importanza, quattro case, tutti agricoltori a parte qualche pastore, un falegname, un panettiere e che ne so? Magari avranno anche un fabbro e un sindaco, magari anche un albergo a ore e qualche prostituta che ci campa su, non posso mica sapere i fatti di ogni paesino del mio Regno. Se lo conosco è per un motivo ben preciso: è collocato in un punto così cruciale che se disgraziatamente qualcuno dovesse prenderne possesso non ci sarebbe speranza per noi, saremmo già automaticamente defunti come Paese. Finora la pace si era mantenuta perché anche per il Regno confinante quello era un punto strategico: dall'altro versante della Grande Dorsale, infatti, sorge un altro paesino speculare a Conscience, anche quello di quattro case, agricoltori e pastori, eccetera eccetera.
Fino a un certo punto la situazione è stata perfettamente bilanciata, tanto che io neppure ci pensavo più a Conscience. Prima ci facevo qualche visitina, facevo capolino dall'altro lato della montagna, controllavo che anche il Re vicino stesse facendo altrettanto, anzi qualche volta abbiamo fatto anche delle visite reciproche: lui veniva da me, io andavo da lui, tutto tranquillo, tutto a posto. E quindi con il passare del tempo di Conscience me n'ero proprio dimenticato, pensavo a cose più importanti, la criminalità nelle grandi città, la pirateria, il brigantaggio, la corruzione dei miei ministri, il deficit di bilancio, i ritardi nella costruzione di infrastrutture, eccetera, cose che voi immagino conosciate benissimo, non devo stare nemmeno a parlarne.
Conscience, dicevo, era del tutto scomparsa dalla mia memoria. Finché il mio ministro degli Interni mi si presenta davanti improvvisamente, infrangendo qualsiasi regola di etichetta (l'ho perdonato solo per la grave notizia che mi ha dato) urlando: "Maestà! Conscience è in pericolo! Il Regno è in pericolo!"
Potete immaginare la mia angoscia. Una grossa frana aveva cambiato completamente le carte in tavola, rendendo il passaggio verso Conscience molto più agevole dall'altra parte perché in discesa, mentre per me sarebbe stato più difficile contrattaccare. La situazione non era più
speculare.
E' iniziata così una lunga guerra di logoramento, in cui per ogni centimetro perso o guadagnato (si trattava di conquistare pochi chilometri, le nostre trincee erano situate vicinissime le une alle altre) uomini perdevano la vita ogni giorno. E non c'era momento in cui gli scontri cessassero: non avevo idea che il Re confinante (avrei dovuto dire "nemico"? Non ci riuscivo; mi sembrava assurdo, dopo i trascorsi così amichevoli) fosse così determinato nella sua voglia di conquista. Dal canto mio, badavo solo a recuperare la tranquillità perduta, volevo solo riuscire a ricacciare l'altro esercito dall'altra parte per un tempo abbastanza lungo da poter costruire una muraglia, una qualche opera di difesa insomma, che mi permettesse di essere più sicuro nei miei confini. Ho indetto grandi festeggiamenti per riportare un po' di quiete tra le strade, dove regnava solo il sentimento imminente della fine. Il clima di disperazione che c'era andava allentato, ho imbastito partite di caccia, spettacoli dei migliori poeti e teatranti, ho fatto portare le orchestre più rinomate da ogni Regno, mi sono messo perfino io sul palco, a cantare, ballare, recitare. Tutto per far rasserenare l'animo del più umile ciabattino mio suddito.
Poi c'è stato un periodo di tregua, che da durare pochi giorni si andò allungando fino a costituire, per me, una sorta di pace. Con calma, costruii le mie fortificazioni e piazzai un paio di sentinelle sulle mura, ma giusto per vedere che succedeva. Speravo che la cosa sarebbe finita lì; e invece, ecco che dopo un po' si sente uno strombettare dall'altra parte del muro. Per farvela breve, parodiando gli Ebrei sotto le mura di Gerico, gli oltramontani volevano far crollare il muro a suon di pernacchie. Gli abitanti di Conscience la prendono un po' sul ridere però, spernacchia che ti spernacchia, dopo giorni e giorni che diventarono settimane e settimane che diventarono mesi, erano un po' sul punto di perdere la pazienza. Mi arrivò una loro prece e io feci tirare una schioppettata in aria dalle merlature della muraglia, giusto per spaventare un po' gli spernacchiatori. Non l'avessi mai fatto! Era una sottospecie di trappola: l'altro Re ha chiesto aiuto all'Imperatore, quello gli ha fornito un bel cannone grosso che solo a vederlo faceva venire un attacco di dissenteria, e ha buttato giù torri, mura e anche quel bel deposito di armi che avevo fatto fare da un mio valente architetto (sebbene, in verità, quelle armi stessero da qualche mese solo lì a prendere polvere e ad arrugginirsi; anche le sentinelle erano disarmate, per mio espresso ordine). Per fortuna che gli abitanti di Conscience si sono difesi bene, usando forcole e torce, hanno arginato la situazione momentaneamente, finché le truppe non sono arrivate. Altrimenti sarei bell'e spacciato, non starei nemmeno qui a parlare con voi.
Insomma, la situazione è tornata pari pari a prima, con anzi in più quell'enorme cannone che per ora non può sparare: mi hanno riferito che per caricarlo servono parecchi soldi, che vale molto di più di molte vite di soldato, quindi per il momento non verrà usato; ma a me non è che interessi più di tanto la prospettiva che il cannone spari, o che non lo faccia, o che sia io a vincere o l'altro, perché ormai non ha più importanza.
Sono semplicemente stanco. Gli anni sono passati, e come ogni Re non sono riuscito a realizzare neanche la metà di quello che avrei voluto: i ministri continuano ad essere corrotti, i pirati a saccheggiare le navi e i briganti a borseggiare i viaggiatori, il bilancio è in rosso, la grande rete ferroviaria che avrei voluto collegasse ogni centro abitato del Regno è lungi dall'essere completa. Ho fatto qualcosina, ho fatto anche molti sbagli che in gioventù mi sono sembrate scelte giustissime e le cui conseguenze nefaste si vedono solo adesso, a cui saranno i miei successori a dover rimediare. In una cosa credevo di essere riuscito, nella difesa del poco che ho fatto e del molto che i miei predecessori mi hanno lasciato... e invece sono ancora qui con un pugno di mosche, e la guerra continua, la pace non torna, tutti i miei sforzi sono stati inutili.
Chiuso nel mio palazzo, con i consiglieri che continuano a dirmi quello che succede, ho ormai perso il gusto di occuparmi del Regno. Non mi interessa più di quello che succede, non mi interessa di Conscience e della lotta per la supremazia - inutile anche quella! - che prima o poi troverà un vincitore e un perdente, chissà da quale parte, non importa. Il mio vero scacco è il non potermi muovere da qui, l'essere costretto a rincorrere gli eventi, il sentire che tutto mi sfugge dalle mani. Sono una pedina giocata nel gioco di qualcun altro, mi muovo ma non per mia volontà, non ha senso quello che faccio.
A volte, svegliandomi di soprassalto quando la luna è ancora alta nel cielo, penso che potrei sempre ordinare all'esercito di arrendersi. Far cadere uno dopo l'altro i pedoni, gli alfieri, i cavalli, le torri che mi proteggono - che proteggono me? Perché? Che valore ho più di loro? - e infine di consegnarmi, io in persona, a chi di dovere, così, senza corona, senza scettro, il più insignificante e incapace pezzo della scacchiera. Lo penso così, non per perdere la guerra, non perchè so di non poterla vincere – come ogni giorno, la situazione è più stabile che mai – ma solo per farla cessare. Poi penso che se questo sta accadendo veramente, allora tutto sarà scritto su un qualsiasi manuale di storia, sul quale tutti potranno leggere l'esito della contesa, la distruzione o meno del mio Regno, la mia consegna o la mia gloria come sovrano eirenophylax, portatore di pace. Con gioia il mio pensiero va ai posteri: loro avranno disponibili, in comode appendici, il mio nome e l'altro, potranno agevolmente controllare le nostre biografie, controllare a che posto siamo nell'evoluzione dei nostri Regni, se siamo considerati fondatori, epigoni, ultimi sopravvissuti, quali certezze apporterà la nostra vita nella Storia, a quali dubbi darà fiato. Il risultato, insignificante quale sia, sarà scritto, da qualche monaco o da chi o cosa per lui - ho sentito che altrove, in Renania credo, hanno inventato un affare che riproduce la scrittura umana come il telaio l'arte delle filatrici - fra secoli, ma che dico? Decenni, o anni, o mesi, o pochi giorni, o fra poche ore! Già mi sembra di sentire - con una specie di sollievo - gli zoccoli dei cavalli oltremontani che vengono a prendermi, che mi consegnano al già scritto, al già vissuto, che mi ripongono al sicuro dove non ci sono dubbi, ecco invece che sono i miei soliti consiglieri che mi dicono che le trincee sono al loro posto, che oggi abbiamo perso cinque centimetri di Conscience, tutto regolare, li recuperiamo domani, e una banda di criminali è stata sgominata, guardi Sire c'è solo da firmare l'atto di condanna, io neanche lo sto a guardare, firmo con uno scarabocchio che potrebbe assomigliare a una farfalla, a una pera, a un gigante di quelli che si leggono solo nelle fiabe, come questo Regno che esiste solo finché io l'ho pensato e mi ritrae mentre, seduto alla scrivania, esco dallo scacco con uno scatto di fantasia, faccio marameo a chi mi ha incatenato e mi riprendo con una risata la mia dignità.

Dicembre 2009

Postilla

Viene facile, leggendo la data, pensare che è tutta una metafora di mie vicende personali: sbagliato. Questo racconto ha quattro significati ben precisi:

1) politico-sociologico: fate l'amore, non fate la guerra (sarà anche banale, ma vero), e soprattutto non per futili motivi.
2) filosofico-esistenziale: spesso la nostra vita si riempie di impegni che non ci interessano davvero: Vorremmo fuggirli per occuparci dei nostri veri interessi, ma non possiamo perché siamo responsabili nei confronti della società e delle persone a cui siamo legati. Questo ci toglie la libertà e quindi l'interesse per la vita, perché ci fa apparire prive di senso le nostre azioni (c'è anche un significato secondario, cioè che ogni cosa è scritta: tutto ciò che facciamo è registrato, quindi in una prospettiva storica non esiste la volontà).
3) storico: ogni cosa che facciamo è influenzata dal giudizio che su di noi avranno i posteri.
4) meta-letterario: “scrivere una storia” in realtà è trasformare in una storia il proprio vissuto, per passare dal personale all'universale (almeno, io la penso così).

Punto e basta. Dalla “mia” storia ho preso solo lo spunto centrale (la guerra di logoramento e il cannone), tutto il resto è normale sviluppo della fabula.
Tutti gli elementi accessori sono inventati, non sono simbolo di niente di reale. Per esempio il riferimento agli scacchi: mi sembra un'offesa all'intelligenza dei lettori spiegare che mi è venuto perchè, ovviamente, si parlava di due regni in guerra; è un accostamento che sfiora la banalità, e non ci sono sensi nascosti dietro.
Solo occasionalmente qualcosa ha assunto un significato extra-narrativo: per esempio, i “rapporti di buon vicinato” iniziali tra i due Re. La prima stesura recitava “... la situazione era in perfetto equilibrio, tanto che avevo scordato l'esistenza di questo paesino. I rapporti con il Re vicino erano buoni, e tanto mi bastava. Finchè un giorno...”;  poi è diventato un pezzo rodariano: per ridere ho creato un effetto straniante parlando dei Re come di due vicini di casa. Espandendosi, però, è diventato una metafora dei rapporti umani (“coscienza” qui sta per “intelletto”, “Io”, e quindi un Re che va a trovare l'altro significa lo scambio d'idee). Ma non ha senso che stia qui a fare un'esegesi più lunga del racconto.


Alla prossima
Grillo Sognatore

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