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martedì 28 febbraio 2012

Estate

Non so se s'era capito, ma a volte mi prende una sottospecie di malinconia. Questo succede soprattutto d'inverno, quando mi metto a sognare l'estate (non succede mai il contrario, perchè sono un incredibile freddoloso). L'autunno mi ritrovo a gustarmi ogni residuo di sole e calore e spesso mi metto a scrivere qualche verso impiastricciato di rimpianto e nostalgia.
E puntualmente, almeno una volta all'anno, scrivo una poesia che si intitola "Estate": non perché sia un progetto (tipo le stagioni di Vivaldi) o perché sono in vena di autocitazioni, ma solo perché non riesco mai a intitolarle diversamente. Sono come delle specie di riassunti di quello che mi è successo durante le vacanze, più alcune considerazioni pseudofilosofiche, più altre cose che mi passano per la testa, più l'augurio che l'estate ritorni più in fretta possibile (non fate commenti su questa cosa, vi prego: non sono Sognatore a caso).
Insomma, tutto questo per dirvi che quest'autunno ne ho scritta un'altra, ma siccome ero in giro che ho fatto? L'ho scritta sul cellulare e poi l'ho inviata per sms a dei miei amici. Dopodiché il cellulare si è rotto e io credevo che quella poesia fosse persa per sempre. Ma per fortuna un mio amico l'aveva conservata: perciò eccovela, sperando sia cosa gradita. E me ne frego se in giro c'è ancora la neve che deve ancora finire di sciogliersi: quando una cosa bella è sempre il momento di metterla in giro. E basta.

Estate

Ritornerai, estate,
come ora stai partendo, sfilacciando
a poco a poco le giornate, mentre il cielo
si ripiega su se stesso... tornerai
con il tuo odore che è profumo di casa,
di vita, d'amore, e tornerai
più bella di prima, con le speranze,
il sale, i colori, i segni ruvidi
del mare e la sete e il sudore,
a ricordarmi che lo spirito - quell'inquieta
scintilla vagabonda che chiamo anima -
non conosce vacanze.

2 ottobre 2011

Alla prossima
Grillo Sognatore

domenica 19 febbraio 2012

I Coldplay, un'ottima fonte di piacere

Quanto cavolo mi sta piacendo quest'album dei Coldplay???
Sul vecchio blog facevo, ogni tanto, delle recensioni... Non le ho riportate qui perchè mi ero rotto di copiare e incollare tutti i miei vecchi post, ma posso sempre ricominciare, no?
Mi sa che la prossima sarà dedicata a loro, Chris Martin & Co. Intanto gustatevi questo piccolo capolavoro, la penultima traccia (che secondo me meritava di essere l'ultima e chiudere in bellezza il disco), Don't let it break your heart (anticipato dalla traccia strumentale A hopeful transmission... ne hanno fatte un sacco di tracce strumentali ultimamente, i Coldplay). Ho provato a tradurla un po' parafrasando, non mi uccidete se ho traviato il senso di qualche frase!


And if I lost a map
If I lost it all
I fell into the trap
And she goes

“When you’re tired of racing
And you find you never left the start
Come on, baby
Don’t let it break your heart”

Those heavenly regrets
Still, on we crawl
Trying to catch a cannonball
And so burning tired
Through my maze is flowing
From a shipwreck I heard a call
And she said

“When you’re tired of aiming your arrows
Still you never hit the mark
And even if your aims are shadows
Still we never gonna part
Come on, baby
Don’t let it break your heart"

Non lasciare che ti si spezzi il cuore

E se avessi perso la mappa
se avessi perso tutto
sarei caduto in trappola
lei mi direbbe:

"quando sei stanco di correre
e scopri che non saresti mai dovuto partire
forza, non lasciare che ti si spezzi il cuore"


Quei rimpianti celestiali
ancora strisciano in noi
che tentiamo di afferrare una palla di cannone...
E allora, stanco morto,
attraverso il mio labirinto - sta fluttuando -
da un naufragio una voce chiamò:

"quando sei stanco di puntare le tue frecce
e ancora non riesci a colpire nel segno
e anche se i tuoi bersagli sono ombre
comunque non ci separaremo mai
Forza, non lasciare che ti si spezzi il cuore".

Alla prossima
Grillo Sognatore

martedì 7 febbraio 2012

Un piacevole ritrovamento

Ero così scazzato, ma così scazzato, che mi sono messo a fare quello che faccio quando sono davvero disperato: rileggere vecchie cose che ho scritto.
Se arrivo a questo punto, è proprio quando mi sembra che niente di quello che faccio, ho fatto o farò ha un senso: allora mi viene da riguardare se anche solo un mio prodotto ha avuto un qualche valore. Mi metto e spulcio e di solito qualcosina la trovo. Ci sono giorni che mi fa tutto schifo, ma anche quello è uno stimolo: mi viene subito da cominciare qualcosa di nuovo.
In questo caso, andando parecchio indietro, ho ritrovato questa poesia. Definirla strana è poco: io di solito non ho questo stile magniloquente, o meglio se mi capita di averlo sono sempre sarcastico o denigratorio in qualche maniera. Tipo, mi piace tanto fare il verso a Leopardi (una delle personalità migliori tra gli Italiani con la maiuscola, ma per carità, come poeta non si può leggere), ma questo è un altro discorso. Volevo dire che di solito tendo ad avere uno stile lirico nella prosa, ma in poesia divento secco e tagliente. Quel giorno però ho avuto una genuina "illuminazione", uno di quei momenti in cui ti viene da dire qualcosa alla quale non puoi sottrarti. Quando pensi "ecco, questa cosa qui la devo dire, è vera, viene proprio da me". Non è stata scritta nemmeno in un periodo particolarmente felice (è un eufemismo), e proprio per questo spicca tra le altre: in pratica ero lì che mi impanavo in un impasto di autocommiserazione, rabbia e angoscia, condito con una spruzzatina di melanconia autunnale, quando non mi ricordo per che cosa di preciso mi sono sentito commuovere. Era successo qualcosina, ma non me lo ricordo proprio, comunque una cavolata, tipo che mi ero accorto di che bella giornata fosse, o che mi ero messo a rileggere Il barone rampante (lo faccio sempre quando sono triste), o boh. Fatto sta che mentre realizzo questo, mi dico "oh, ma com'è possibile che quando penso di essere diventato arido, di essere una persona finita, di aver esaurito le possibilità creative e vitali, succede una qualche cazzata che mi rende felice di respirare e camminare ancora?" e così ho buttato giù questi versi, che spero vi piacciano (dopo tutto questo pippone introduttivo).

Anima mia

Che fai t'agiti
anima mia, se un palpito divino
t'accende, se appicca ancora
il tuo fuoco segreto, mai stanca
di passare i tuoi confini, tu scintilla
inesausta che brucia ciò che tocca, mistero
che muove il petto e scuote i miei giorni,
tu fuoco d'ogni prospettiva e centro
d'ogni vertigine? Sgomitano le tue ali
per ogni brezza d'estate, per un fiore
che appare improvviso, per una quiete
accennata tra le fronde, per un silenzio
che sgomenta, tu diaframma tra cielo
ed inferno, fragile calice della mia vita,
anima mia.

1 settembre 2009 

Alla prossima
Grillo Sognatore

lunedì 6 febbraio 2012

Ripartenza

Bello riavere il proprio blog: questo di Blogger mi sembra pure più bello, ci posso aggiungere le pagine, si può rispondere ai commenti, insomma mi sembra proprio carino!
Spero che diventerà una buona "casa virtuale" per il mio cervello, dove sbrogliare un po' le matasse dei miei pensieri ingarbugliati.
E spero pure che ci sia qualche lettore! Io faccio del mio meglio perchè chi capiti qui non si annoi più di tanto, perchè trovi degli spunti interessanti e anche perchè, magari lasciando un commento, mi consigli qualcosa lui/lei e mi indirizzi verso strade nuove.

Non ricordo più precisamente dove ho sentito per la prima volta la frase "l'imprevisto è la sola salvezza", ma la trovo di giorno in giorno sempre più vera: quindi speriamo che questo blog sia fonte di tanti e positivi imprevisti!

Alla prossima
Grillo Sognatore

venerdì 3 febbraio 2012

Repost: Strane ricorrenze: Montale e Calvino / 26/09/2011

Da poco ho scoperto esserci la ricorrenza della morte di due dei miei miti: Eugenio Montale e Italo Calvino.

Mi sorprende ogni volta pensare a quanto questi due autori, da soli, abbiano rivoluzionato la mia vita, il mio modo di pensare, la mia "visione del mondo" (ce ne sono anche alcuni altri, ma questi sono i due italiani principali).

Entrambi, pur appartenendo a due campi diversi della letteratura, e pur avendo idee diverse sul suo statuto, avevano un grande punto in comune: la percepivano come dialogo continuo con il lettore. Anche Borges era così, e infatti dopo i primi due ho scoperto lui, ma questa è un'altra storia. Calvino e Montale mettevano a nudo le loro stesse contraddizioni, comunicando sempre, tra le righe, che quello che si stava leggendo era frutto di un uomo come gli altri, che il gioco sfrenato della fantasia (nel caso di Calvino) o l'analisi lucida e impietosa della realtà (come in quello di Montale) non dovevano mai far dimenticare che quella era una pagina, un foglio di carta scritto da qualcuno, e che questo qualcuno si sbagliava.

All'inizio (anch'io ci ero cascato) sembrava che peccassero di eccessiva umiltà: mai sottovalutare l'importanza dell'understatement, del "profilo basso": anche Manzoni seppe darcene un esempio illuminante ("quei miei venticinque lettori"... ahahah). I grandi si riconoscono, appunto, solo quando, leggendoli la terza, decima, ventesima volta, sanno svelare sempre dell'altro, qualcosa che non si vedeva (o non volevamo vedere) nella lettura precedente. Dico la terza, perchè una seconda lettura non si nega mai a nessuno, nemmeno a Harry Potter; ma dalla terza in poi, è lì che si vede la forza di un classico.

Uff... Potrei stare ore a scrivere su questi due tizi, ma mi verrebbe un pippone così lungo che nessuno si prenderebbe la briga di leggerlo; allora, meglio concludere con fatti e non pugnette, cioè con una bella citazione, di Calvino perchè lo amo un po' di più ultimamente (ma oscillo, a seconda dei periodi). Questa qui l'ho messa sulla bomboniera che ho dato agli invitati della laurea: è l'explicit del Cavaliere inesistente, forse il suo miglior romanzo (ma anche qui, dipende dai miei periodi): Bradamante, giovane guerriera, decide di lanciarsi a
capofitto in un nuovo amore, l'ultimo forse e definitivo, e si chiede che ne sarà di lei.

Ecco, o futuro, sono salita in sella al tuo cavallo. Quali nuovi stendardi mi levi incontro dai pennoni delle torri di città non ancora fondate? quali fiumi di devastazioni dai castelli e dai giardini che amavo? quali impreviste età dell'oro prepari, tu malpadroneggiato, tu foriero di tesori pagati a caro prezzo, tu mio regno da conquistare, futuro...

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: Riflessione sull'11/9... due giorni in ritardo / 13/09/2011

Viene difficile non pensare, con Montaigne, che la filosofia, se dimostra qualcosa, subito può dimostrare anche il suo opposto, e che essa non è altro che l'insieme di tutte le “nostre fantasticherie”; così restiamo appesi a mezz'aria sul filo delle nostre convinzioni, che alla fin fine non sarebbe un ripiego neanche tanto brutto, se non fosse che siamo così inclini alla violenza.
Allora mi chiedo se non c'è un modo per venire a capo di qualche verità incontestabile, tale che possiamo metterci l'anima in pace e fare una vita di amore, sesso, lavoro e cibo in tranquillità, conditi da qualche fantasticheria solo di tanto in tanto, a tempo perso, che alla fine sono le cose che ci riescono meglio.


Questo pensiero è tanto più strano quanto più penso che mi è venuto in mente proprio oggi, senza pensare tanto alla ricorrenza, si vede che avrà lavorato su di me inconsciamente. Avevo 14 anni ed ero in macchina a leggere Topolino quando passò la notizia in radio, per me fino ad allora la cosa più tremenda che fosse successa era la recente elezione di Berlusconi, poi mi feci un'idea del perchè, e come, scoppiano le manie collettive, e ho cominciato a non vedere più come tanto assurda l'ascesa di Hitler: come diceva il buon Luigino, basta attaccare la coda al mostro e subito ci sembrerà non più mostruosa ma naturalissima, quale doveva essere appartenendo a un mostro tale. L'umanità non è scema, ma solo bisognosa d'affetto: ognuno sta solo sul cuor della terra e soffre tantissimo di questa solitudine, e viene più facile sentirsi accomunati agli altri quando si ha un nemico. Una volta ottenuto affetto, comprensione, calore, si è disposti a tutto pur di non perderlo: anche a sacrificare, un pezzettino alla volta, il proprio intelletto, il senso critico, la libertà. L'esistenza delle dittature è il segno lampante di quanto l'uomo non sia fatto per essere solo, per fare del male ai suoi simili: li ama così tanto che è disposto a sacrificarne qualcuno per poterne conservare la maggior parte. Stermina nel presente, pur di non dover più torcere un capello a nessuno nel futuro. Ma questa non è un'aberrazione della quale si può dare la colpa alla secolarizzazione, alla “perdita di sacralità”: quando tutto era sacro, da ogni parte si era disposti a profanare, il che era come dire che nulla lo era veramente. Ora che nulla lo è ufficialmente, si sono inventate altre ragioni per poter stuprare la realtà, e in più sono aumentate le armi a nostra disposizione e i mezzi di comunicazione sono più efficaci che mai non solo nel riprodurre e testimoniare la realtà, ma anche nel distorcerla: per questo ci sembra di stare precipitando in un baratro senza fine. Ma non dimentichiamoci che siamo quasi sette miliardi, e possiamo ridurre una città al caos semplicemente spegnendo un interruttore, e martellare la popolazione mondiale su un problema minuscolo fino a farlo diventare enorme. Quello che è aumentato è la nostra possibilità di fare del male in maniera più efficiente e veloce, il modo di propagarlo insomma, non la nostra volontà di farlo: quella è rimasta la stessa, ed è quello il nodo da sciogliere.

Domenica 11 settembre 2011

Mi rendo conto di aver detto troppe cose insieme, ma ora che ho riletto mi sembrano impossibili da separare: dovrei parlare separatamente dell'attentato, delle sue cause, delle sue conseguenze, del perchè delle dittature, del male insito nell'uomo, della possibilità dell'esistenza di un dio, etc etc, ma ognuno di questi argomenti richiederebbe un saggio, e anche abbastanza corposo; magari fra qualche anno avrò voglia e tempo per farlo, ma non ora!

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: Rogito, ergo sum. / 12/09/2011

Una casa nuova, mille problemi.

Solo per trovarla, non vi dico... magari chi ha qualche primavera più di me sulle spalle lo sa già, ma è un casino.

Comunque, una promettente ha accettato la nostra offerta. E' inquietante, il mobilio è rococò in legno scolpito, tinte tiepoliane (rosa, verdino, celestino, bianco panna), tutta piena di santini e madonne, ritratti di Padre Pio eccetera, era abitata da una signora di 92 anni che ha deciso di venderla (è ancora vivente, l'arzilla donzella).

Inquietante, vi dico. Ce la venderebbe con il mobilio e tutto. Noi ringraziamo, perchè così ci risparmiamo di andare avanti e indietro all'IKEA per comprare tutto dalla A alla Z, ma ovviamente sappiamo che alla primissima occasione ci sbarazzeremo di questo kitschume e prenderemo dei sani e funzionali mobili per poterci schiaffare libri, vestiti, scarpe e cianfrusaglie, la riempiremo di specchi per farla sembrare più grande (55 metri quadri non è che siano una reggia) e daremo una ritinteggiata ai muri giallini... poi cambieremo i lampadari stile Impero che ci sono in ogni camera, corridoio compreso. Solo il bagno è salvabile (anzi, davvero bellino) perchè è stato rifatto da pochi anni).

Comunque, sembra di avere un'ancora, la salvezza a portata di mano, la stabilità tanto agognata...

Ma, in realtà, a me non è che me ne freghi più di tanto. Ormai sono abituato a fare un trasloco ogni 7-8 mesi, da circa tre anni, e mi sta pure bene; anzi, ho conosciuto un sacco di gente e ho imparato ad amare Bologna, quindi il trasloco mi ha fatto bene, è stato una cura rigenerante, ogni volta quel rivoltare la propria vita, gli oggetti accumulati, ricatalogarli e decidere cosa andava salvato e cosa no, cosa veniva sommerso negli scatoloni " di Serie B" (alcuni dei quali sono ancora chiusi da due anni) e cosa invece emergeva o ri-emergeva (ho ritrovato alcuni vecchi manoscritti sui quali mi sono rimesso a lavorare, per esempio, e vecchie poesie abbozzate che ho completato, a distanza di 4 o 5 anni), per trovare degna sistemazione nella nuova casa.

Il compromesso, la provvisorietà, ma anche l'ingegnosità e l'adattabilità sono state mie compagne fedeli; ho imparato che non esiste tanto una buona o cattiva casa quanto una buona o cattiva volontà di abitarci. Ho fatto diventare una reggia perfino un buco fuori città; mi è bastato riempire scrivania e scaffali dei miei libri, prendere qualche foglio o accendere il computer e mettermi a scrivere, e poi le condizioni della cucina, del bagno, la posizione dell'appartamento, l'esposizione, la rumorosità dei vicini, il quartiere malfamato, sono passati in secondo piano.

Ed ora, invece, mi si prospetta di "fissare" il mio guscio. Sono un paguro alla fine della sua corsa: d'ora in poi, sarà la casa che dovrà adattarsi alle mie esigenze. Ne potrò cambiare il mobilio, gli impianti (figo il condizionatore, eh? Fuori ci può essere il Sahara, ma io qui sono al Polo), anche la luminosità se vorrò, e la comodità non dipenderà più da quanto tempo sono disposto a passare per sistemare il mio giaciglio (prendere cuscini e coperte e spostarli dalla camera al salotto, per esempio, nel disperato tentativo di rendere passabile un divano tutto spigoli), ma solo da quanti soldi sono disposto a spendere per comprare un divano o una longue-chaise nuova.
Sarò padrone e non più schiavo, potrò decidere se mettere la televisione lì e il quadro là, e i miei posters troveranno il posto ideale in cui avranno il massimo risalto, non saranno più fissati con lo scotch alle porte o alle ante degli armadi, ma inquadrati e appesi con un solido gancio. Finalmente potrò smettere di cambiare: sarà lei a farlo al posto mio.

E tutto questo mi spaventa, non sapete quanto. Io mi tengo vivo cambiando, non trovo senso in quello che faccio se non nella metamorfosi, nel guazzabuglio vitale, nel brodo primordiale dal quale scaturiscono le energie che fanno muovere i miei neuroni, che mi fanno trovare nuove idee, insomma io vivo se non sto mai fermo; cosa succederà, quando firmerò l'atto di vendita?

Dovrò togliere il punto interrogativo alla frase "Io esisto?", perchè di sicuro esisterò: sarò proprietario di un immobile sito in questa certa via, di un certo valore, prenderò la residenza lì, avrò una rendita catastale... E, poco alla volta, mi affezionerò a quei mobili, a quelle mura, come la vecchia proprietaria ha fatto, fino a non potermene più separare, fino a non poter più concepire quella casa sistemata in un altro modo... perchè corrisponderà al mio Io cristallizzato e mummificato.

Oddio, spero con tutte le forze che non succeda. Lo spero veramente.

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: La mia avventura teatrale: Epilogo / 09/06/2011

Epilogo
Da adesso in poi
o
Una scelta di (e per la) vita

Ho volutamente lasciato in sospeso una parte di quello che dovevo dire nell'altro post, e cioè di che cosa ci ho ricavato dall'esperienza teatrale.
Parlavo di un mestiere: e questa è l'eredità più pesante (non in termini intellettuali, ma proprio materiali) che mi ha lasciato quest'anno e mezzo di Locandiera, e cioè l'interesse per la regia. Perchè ho scoperto che con il teatro (e in prospettiva anche con il cinema, perchè no) posso fare quello che già facevo con la scrittura, ma su un altro livello: non necessariamente superiore o inferiore, ma qualcosa di altro. Posso "manipolare" le storie che scrivo concretamente, con l'ausilio di corpi e voci, e anche musiche e scenografie, posso creare un rapporto diretto con la gente che si troverebbe a sentire "live" quello che è uscito dal mio cervello, e infine posso veicolare le mie idee a qualcosa che non è più personale ma pubblico: e perciò far sentire con più forza l'aspetto di denuncia sociale e politico che i miei scritti hanno sempre tenuto sottotraccia (anche il perchè di questo è da spiegare separatamente: uhm! questo post mi sta dando tante tante idee. Grazie Ziabeppa). E quindi anche per questo mi piacerebbe potenziare la mia compagnia (dico "mia" solo per praticità: non smetterò mai di ringraziare gli altri co-fondatori, co-registi e co-tutto, nè mi permetterò mai di prendermi più del mio merito, cioè il 10% del totale), e in prospettiva fare una piccola scuola di teatro, e poi mettere in scena i miei testi, e poi scriverne altri, e fare di questo il lavoro della mia vita.

E pensare che fino a un anno e mezzo fa mi piangevo addosso e mi immaginavo, nel migliore dei casi, come co.co.pro di un'azienda qualsiasi, sfruttato e malpagato... almeno invece adesso mi sfrutterò da solo, mi malpagherò da solo, sarò un co.co.pro della cultura a vita, ma almeno con un po' di dignità...

Quindi, dovendo mettere un punto (ma solo per andare a capo) a questa esplicazione/divagazione in cinque puntate, e quindi dire che cosa mi aspetto dal futuro, vi direi: mi aspetto che il teatro faccia sempre più parte della mia vita, fino a diventarne un pilastro e un punto irrinunciabile. E mi aspetto anche che la cultura teatrale venga rilanciata nel nostro Paese, che si trovi un Ministro della Cultura degno di questo nome: non è che non ne abbiamo, di candidati ideali! basterebbe che la politica avesse il coraggio di farsi da parte, per una volta ogni tanto, e che ne scegliesse uno a caso, da Dario Fo a Riccardo Muti passando per un Baricco, un Camilleri, un Olmi, ecceter (sapete che mi è venuto in mente? potrei fare la mia squadra ideale di governo. Ma si, ve la sottoporrò uno di questi giorni e vedremo! ahah). Ma senza allargare il discorso: mi auguro di fare del teatro attivamente e non più passivamente, e spero (e mi sto già attivando in questo senso) di aggiungere qualcosa nella storia mondiale della cultura. Pretenzioso, sicuramente: ma d'altronde senza un minimo di obiettivi non si va da nessuna parte!

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: La mia avventura teatrale: Parte IV / 08/06/2011 15:25

Parte IV
Bilanci a parte
o
Dell'impossibilità di arrendersi alla corrente

Domandona finale da quattromila miliardi di dollari: che cosa ho ricavato dall'esperienza teatrale?

[Seguono lunghi giorni di riflessione, e infine il suddetto "scrittore" si decide a mettersi davanti allo schermo non avendo ancora trovato una risposta ben definita]

In realtà non so definire la mia risposta, sono sincero: perchè mi sembra di essere ancora nel limbo, a metà tra l'ignoranza totale e la scoperta del nuovo mondo che mi si è aperto davanti. sono nel tunnel, vicinissimo alla luce, ma ancora non ci sono arrivato quindi non so che dire.
Ragion per cui dirò le prime cose che mi passano per la testa e ve le farete bastare.

Ci ho ricavato innanzitutto un sacco di amici: e questo è poco ma sicuro. Gente che prima conoscevo di nome, o che consideravo amici senza in realtà conoscerli davvero (si pronuncia troppo facilmente la parola "amico", quando se ne hanno pochi), e anche infine gente che proprio non avevo mai incontrato nella mia vita, è entrata a farne parte invadendola con una violenza tale che all'inizio non me ne rendevo neanche conto (lo so, sta diventando un clichè questa cosa dell'inconsapevolezza, ma conoscendo meglio il periodo che stavo attraversando, e del quale purtroppo non è rimasta quasi traccia nel blog, comprendereste meglio quello che volevo dire). Cioè, mi sono trovato abbastanza all'improvviso a pensare che queste persone, conosciute da pochi mesi, erano diventate per me indispensabili come e forse anche più di quelle che conoscevo da anni, e che non riuscivo più a concepire la mia vita senza loro.

Poi ci ho ricavato un hobby: cioè la recitazione. Fino ad allora avevo sempre pensato che mi sarebbe piaciuto recitare, ma non avevo mai concretizzato (per pigrizia soprattutto, e anche per poca autostima), e invece adesso mi piace pensare a me come a qualcuno che calca le scene, anche se amatorialmente. Il perchè, le mie convinzioni che ho maturato sul mio "ruolo" di attore meritano di essere approfondite a parte, ma sintetizzando in una frase: ho scoperto che mi piace perchè mi aiuta a rompere le mie barriere mentali e a farmi evolvere, e a rendermi cosciente della mia evoluzione. Cosa che faceva già la scrittura; la recitazione ha agito (e continua ad agire) come catalizzatore che ha accelerato questo processo.

Poi ci ho ricavato un vero e proprio interesse letterario: sarebbe a dire che hanno cominciato a venirmi delle idee di sceneggiatura, e che ho cominciato a buttarne su carta qualcuna, e avendo già ottenuto dei pareri positivi ho continuato. Quindi è come se la mia anima letteraria, che immagino sempre come un polipo, avesse acquisito un tentacolo in più.

E infine, se dovessi rivelarvi il mio desiderio più oscuro e profondo, ci ho ricavato quello che potrebbe diventare il mio mestiere: ma questo sarà l'oggetto dell'epilogo, ergo non lo approfondisco.

E comunque sento che tutto questo non basta ad esaurire quello che ho raggiunto ed è un bilancio solo delle apparenze, dei dati materiali: perchè ci ho anche ricavato qualcosa di grande come persona, qualcosa che mi ha fatto crescere e sentirmi più a mio agio con me stesso, più sincero, più critico anche. Non so di che cosa si tratti, potrebbe essere semplicemente l'esperienza, il fatto di aver fatto qualcosa di nuovo e di essermi sperimentato in una parte di me sottovalutata, ma neanche questo basta a fare un bilancio.

Forse (ma è una cosa che mi è balenata in mente adesso, eh, non la prendete come oro colato) quello che mi ha reso più forte in assoluto è stato il rendermi conto che stavo facendo qualcosa in controtendenza rispetto al mondo circostante, un atto di rispetto verso l'intelligenza umana e anche di ribellione al potere costituito. E cioè: in un mondo sempre più scemo, ma con una élite intellettuale che non tollera intrusioni e amatorialismi, e in un Paese che denigra sempre più il suo settore culturale, ecco che siamo andati a ripescare, in maniera assolutamente gratuita e disinteressata, un testo del Settecento e l'abbiamo reso nostro, l'abbiamo amato come se scritto apposta per noi, come dovrebbe essere l'obiettivo del teatro. Ci siamo innamorati della bravura di Goldoni, ma l'abbiamo anche criticato decisamente, e abbiamo fatto si che questa storia parlasse anche un po' di noi. Ossia, abbiamo
fatto esattamente il contrario di quello che si fa di solito: o si propongono solo testi e spettacoli "pop" (come se si potesse parlare di modernità solo e soltanto usando il linguaggio della modernità), oppure si mantiene un rigore filologico assoluto e si porta in scena il testo com'è, virgole comprese, irrigidendo lo spettacolo e rendendolo morto, freddo, buono solo per compiacimenti intellettuali. Dimenticando che il teatro ha la sua ragion d'essere solo se è una cosa viva, e se parla della vita: altrimenti chiunque può leggere il testo della Locandiera e prendersi il suo piacere storico-letterario, ma non è la stessa cosa.
E poi l'abbiamo fatto in barba e in spregio ai tagli della cultura, organizzandoci da soli, pagandoci tutto, facendoci pubblicità, stampando solo DUE locandine (il resto era sul web), e portando in sala tra le 100 e 200 persone (ora non mi ricordo preciso), a dimostrazione che non solo la cultura interessa alla gente e non è quindi un peso morto del PIL, ma che dà da mangiare: le entrate (quasi interamente devolute alla parrocchia che ci ha ospitato) sono state il quintuplo delle uscite. Uno schiaffo morale a quel cretino di Bondi e a quello stronzo di Tremonti, e a tutti quelli che vogliono rendere la cultura un marketing per salvarla dai tagli. Non insisto oltre su quest'argomento perchè ho già scritto abbastanza e c'è troppo da dire.
Quindi andando avanti ci siamo resi conto che stavamo non solo facendo un atto gratuito per noi stessi, ma anche per la gente che ci vuole bene, e per gli Italiani, e per il mondo, e che stavamo andando, in maniera invisibile ma costante, contro l'entropia e l'ignoranza del postmoderno, aggregando dove la società vuole parcellizzare, valorizzando dove la società vuole svalutare. Forse questo, e soprattutto il fatto di esserci riusciti, mi ha reso felice e voglioso di continuare sempre più in alto.

Oh, mi ha fatto bene scrivere random, perchè sento di aver trovato finalmente una sintesi per fare il bilancio della mia esperienza: cioè che mi ha insegnato che opporsi alla corrente paga, e che dà una soddisfazione incredibile anche se i risultati sono minuscoli, e che ti fa sentire una persona vera dalla cima dei capelli alla punta dei piedi.

Che bello! Sono proprio soddisfatto. Adesso anche quest'uggiosa giornata senza Franca, piena di nuvole e umidità, mi sembra più bella. Ho trovato un altro pezzo del puzzle di me stesso.

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: La mia avventura teatrale: Parte III / 06/06/2011

Parte III
Stairway to Heaven
o
Meglio di Schwarzenegger

Capitolo spinosissimo: qual è stata la mia esperienza?
Difficile dirlo così su due piedi, anche dopo aver affrontato i due punti precedenti. Un po' perchè è tutto terribilmente intrecciato, e un po' di risposte le ho già date prima, un po' perchè, come già detto, la maggior parte del tempo mi sono immerso nell'avventura senza riflettere, aumentando di giorno in giorno il carico come fa un buon bodybuilder, ma in maniera così inconscia che quando mi ero "fatto i muscoli" mi sono voltato e ho pensato "ma come cavolo ho fatto ad arrivare qui?".
Se dovessi dirvi anche solo un giorno preciso in cui mi sono reso conto che stavo cominciando a recitare bene, non saprei quale scegliere: sta di fatto che circa un mese o due prima dello spettacolo mi sono messo a pensare che avevo cominciato davvero a recitare, che l'abito dell'attore mi era diventato una seconda pelle; e non parlo tanto di abilità acquisite (quelle restano comunque mediocri, non pretendo di essere diventato un Gassman così), ma della volontà di portare agli altri un messaggio attraverso le parole e i gesti, e non più soltanto attraverso la parola scritta. Perchè fino ad allora credevo che la mia "missione", il mio scopo nella vita per così dire, fosse quello di comunicare attraverso dei testi, fossero poesie, racconti, romanzi o articoli di giornale (per la verità pensavo anche a teatro e cinema, ma in veste di sceneggiatore, non di regista): in breve, credevo che il mio lavoro dovesse consistere nel raccontare delle storie o esprimere opinioni sul mondo a partire dallo stampato.
Con quest'esperienza del teatro ho scoperto invece che questa mia anima andava completata, che mancava un pezzo del puzzle, l'espressione corporea e personale, appunto.
Non negherò che è stato davvero difficile: all'inizio ero un pezzo di legno, e non ero per niente abituato a fare cose contrarie ai miei principi, offensive degli altri, o semplicemente lesive dello spazio privato: per fare l'esempio più lampante, in scena dovevo prima odiare e poi amare appassionatamente una delle mie migliori amiche; ebbene, nessuna delle due cose mi riusciva! Perchè, oggettivamente, nei confronti di lei non nutro nè astio nè amore, quindi come poteva riuscirmi naturale? E questo valeva per gli altri, ovvio: dovevo fare lo sbruffone con un uomo molto più grande di me, teatralmente più esperto, e che con la sua esperienza mi metteva in soggezione; e poi dovevo fare degli affondi di spada con un altro amico mio, io che ho paura a tenere in mano un coltello. Insomma, tutto mi sembrava fuori dalla mia portata. Poi, però le cose hanno cominciato a diventare familiari, e ce l'ho fatta. Come?
Per farvela breve, ho scoperto che sul palco si è contemporaneamente onesti e disonesti: onesti perchè si esprime l'Uomo a prescindere, l'umano, il fondo che è in tutti noi (emozioni, paure, aspettative, eccetera), anche se per farlo si è costretti ad essere disonesti sul piano delle parole o delle espressioni o delle idee.
Più si è onesti, più cioè si mette a nudo la propria anima con tutto il proprio groviglio di esperienze, più si può fare qualunque cosa sul palco: e così lì, nel finale, sono stato anche capace di odiare quella che è la mia migliore amica, perchè in quel momento mettevo sulla scena il mio odio personale contro i disonesti, gli ipocriti e i malvagi. E sono stato anche capace di amarla e sottomettermi a lei, perchè stavo mettendo in gioco il mio amore e la mia capacità di prendere a calci il mio orgoglio quando voglio bene a qualcuno. Insomma, se si isola l'emozione in sè, poi si è capace di "dirottarla" verso tutto quello che si vuole.
Questo per quanto riguarda la mia esperienza da attore. Ma, come detto, questo gruppo è nato con un'indole così anarchica e collaborativa che mi sono trovato, come tutti gli altri del resto, a fare un po' di tutto, dallo scenografo al regista allo sceneggiatore (ognuno modificava le proprie battute, ma io ed Ilaria ci siamo preoccupati anche di suggerire dei tagli e delle modifiche globali, e spesso ci abbiamo visto giusto), passando per il costumista (anche lì, ognuno faceva per sè, ma io e la suddetta Ilaria abbiamo "nosato" in ogni dove in cerca di vestiti a poco prezzo), il truccatore (a onor del vero: il "suggeritore di idee per il trucco") e il manager/pubblicitario (ho fatto un passaparola che ve lo dico), fino in extremis al grafico per la locandina (fortunatamente scartata e poi realizzata dalla valente Carlotta, ché la mia sembrava un necrologio...). E qui cos'è stata la mia esperienza?
A saperlo... ho fatto così tante cose che a volte Ilaria mi dice: "ma ti ricordi di quando..." e io: "no, boh, veramente, l'ho fatto io? Ma dai..."; sono stato un factotum e, a giudicare dal risultato scarsino dal punto di vista attoriale, ma buono in generale), direi anche bravino. E mi sono divertito un sacco, se lo volete sapere: soprattutto nell'ultimo periodo, quando tutto sembrava andare a scatafascio e non eravamo nemmeno sicuri di poter fare tutte le scene di fila, io ero preoccupato, si, e tantissimo, e nervosissimo, e ansiosissimo, ma in
fondo in fondo divertito e quasi spettatore di me stesso e delle mie nevrosi, perchè la storia di come abbiamo costruito questo spettacolo e delle ultime tre settimane di prove meriterebbe di essere portata sulle scene in sè, per quanta vita c'era lì dentro: dall'isterica che urlava solo a toccarla al serafico impossibile a smuovere, dal pignolo anche cinque minuti prima dell'apertura del sipario a quella che si ritrova afona due giorni prima della messa in scena, eccetera eccetera. Un campionario da tragicommedia che da solo mi basta per due o tre romanzi (e infatti ho cominciato ad abbozzarne uno).
E in tutto questo uno spettatore semi-ignaro di quello che capita che si trova nel bailamme e ne ride e scherza: questa, in soldoni, mi sembra la mia esperienza nel gruppo; che cosa poi ne abbia tirato fuori, beh questo è un altro capitolo e aspetterete un po'.

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: La mia avventura teatrale: Parte II / 04/06/2011

Parte II
Un Cavaliere senza macchia e senza paura
o
Dell'importanza di essere (dis)onesti

Il mio ruolo all'interno della Locandiera era quello del Cavaliere di Ripafratta: un uomo che odia il genere femminile perchè lo ritiene fonte di tutte le disgrazie, corruttore degli animi e capace solo di manovre subdole per ottenere ciò che vuole, in pratica uno strumento del demonio in terra. E ha fottutamente ragione: perchè gli capiterà davanti proprio l'incarnazione di tutti questi mali, nella figura di una sola ed unica donna, Mirandolina, che gli prenderà il cuore e lo userà come un giocattolino, per poi gettarlo quando rischierà di farsi male.
E non è nemmeno interessata: non cerca il suo denaro o dei titoli o chissàchè; no, lo fa per scommessa con se stessa. Quindi un atto di male gratuito, una bastardata dall'inizio alla fine. Mirandolina, a dispetto del suo nome così grazioso, è proprio una stronza.
E qui viene il problema: cioè io non solo non avevo mai recitato, ma ero anche completamente in disaccordo con le concezioni del personaggio. E allora mi direte: "ma perchè ti sei deciso a fare questo ruolo?".
Potrei rispondervi in molti modi: perchè volevo sperimentarmi; perchè non c'era nessun altro disposto a farlo; perchè ero la persona giusta per quel ruolo a dispetto di quello che ne pensavo; ma sarò completamente sincero, e vi dirò che mi ci sono trovato invischiato. E cioè: all'inizio non avevo la minima idea di quello che stavo facendo. Mi sembrava naturale che, dato che io ed Ilaria avevamo creato il progetto, prendessimo per noi i ruoli principali. Lei fu d'accordo, e quindi io mi sciroppai il Cavaliere. Ma della trama e del testo della Locandiera non avevo che vaghi ricordi da liceale, e quando mi misi a leggere il testo cominciarono a venirmi dei piccoli dubbi. "Ma siamo sicuri che potrò fare la parte di uno così stronzo, e che poi diventa il cagnolino di una donna che odiava?". Difatti non ce la potevo fare, all'inizio: ero un caso disperato. Ilaria e Matteo (il nostro Decano, che era il Marchese di Forlipopoli. Una persona squisita che non ringrazierò mai abbastanza) possono confermarlo: ho cominciato proprio come un pezzo di legno, non sapevo andare avanti se non ricordavo la battuta, e soprattutto quando dovevo dire qualcosa che non condividevo non riuscivo a tirarci fuori la minima emozione. Per di più, mi bloccava il fatto di prendere così confidenza con i corpi degli altri: dovevo spintonarli e tirarli, e non mi veniva per niente naturale. Insomma, più di una volta sono stato tentato all'inizio di rinunciare al mio ruolo e prendermene uno secondario. Non l'ho fatto solo perchè comunque mi piaceva essere sempre al centro della scena (il mio egocentrismo maledetto!) e anche perchè comunque credevo sempre di star preparando uno spettacolo di livello infimo, quindi anche se avessi recitato alla cacchio nessuno mi avrebbe detto niente.
Ma con il passare dei mesi cominciai a prenderci gusto, e piano piano qualche singolo pezzettino mi venne bene, diciamo il 10%. A fronte di un 90% che non mi riusciva per niente, però, mi posi seriamente la questione, perchè nel frattempo erano successe due cose: innanzitutto avevo capito che stavamo puntando a un livello di recitazione medio-buono, e poi già per l'impreparazione un po' di tutti avevamo rimandato. Non volevo che per colpa mia dovessimo rimandare ancora o mettere su una cosa arrabattata. Quindi chiesi formalmente di cambiare.
Ma, sorprendentemente, tutti rifiutarono! E perchè? Perchè dissero che, in quel 10% di buono che avevo fatto, c'era l'essenza del mio personaggio, e che si trattava di estenderla al resto. Insomma, mi dettero una bella siringata di ottimismo. E da quel momento in poi effettivamente, con l'aumentare della fiducia in me stesso, mi resi conto che tutto è possibile: finchè non mi successe, durante le prove, di fare una certa scena in maniera così naturale che mi sentii davvero come se la stessi vivendo e non come se di fronte a me avessi le sedie del pubblico. Allora capii che dovevo continuare così. E arrivai perfino ad improvvisare sulla scena, durante lo spettacolo: avevo dimenticato completamente il mio monologo, e me ne uscii fuori con una sparata che fu utilissima e sbloccò la situazione. Ma questo ho deciso che lo racconterò a parte perchè è un aneddoto troppo gustoso.

Intanto, con questo credo di aver esaurito la seconda annosa questione.

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: La mia avventura teatrale: Parte I / 03/06/2011

Parte I 
Come Venere dalle acque
di come genio e sregolatezza possano convivere fino ad un certo punto

Dunque... la risposta alla prima domanda: ho lavorato in una compagnia teatrale?
Lavorato mi sembra la parola giusta (se considero il mazzo che mi sono fatto soprattutto negli ultimi mesi): ma cambierei la preposizione. Se penso alla mia esperienza, direi che ho lavorato "per" la compagnia, in quanto umile servitore e via via più appassionato (co)regista.

Partito come vi ho raccontato nel prologo, cioè con l'idea di uno spettacolo "one shot" da recitare davanti ad un pubblico di amici, arrabattando scenografia e costumi e anche recitazione, magari recitandolo in un qualche giardino o locale privato (un garage, una cantina, cose così), in realtà non avevo la minima idea di cosa fare. E soprattutto non avevo la minima idea di chi mi trovavo di fronte: la suddetta Ilaria, che - come già detto - ancora non conoscevo bene.
Non sapevo, nello specifico, che conoscesse di tutto di più, e che fosse in grado di trovarci una sala prove, un vero teatro, dei costumi, e anche degli altri ottimi attori; non sapevo di aver appena lasciato a briglia sciolta una formidabile predatrice. E così i primi mesi ha lavorato soprattutto lei, mentre io continuavo a pensare che, dopo un paio di mesi di prove, avremmo sollazzato gli animi dei nostri compari di merende con un'oretta e mezza di strafalcioni e battute dimenticate.
E invece no. Abbiamo cominciato a provare e lì la realtà ha cominciato a diventare complicata, intricata, la trama era ben diversa da come la ricordavo, le scene più di 60, e i personaggi non 4 o 5 ma 10. Gulp! Eppure non mi ero ancora reso conto di quello che stava succedendo. In maniera del tutto inconscia, mentre attraversavo una grave crisi personale, mi buttai anima e corpo nella logistica, nel tentativo di rendere più razionale la nostra organizzazione (perchè nel frattempo il "preventivo tempi" si era allungato da due a sei mesi): quando Stefano, il nostro valente tecnico informatico, ebbe creato un forum a nostro uso, mi misi ad utilizzarlo e propagandarlo; poi creammo un calendario delle prove; decidemmo orario e giorno precisi; e avevamo ogni volta una scaletta delle scene da provare. A onor del vero, per utilizzare al meglio questi strumenti abbiamo avuto bisogno di mesi, e ci siamo veramente riusciti solo negli ultimi 20 giorni. Ma comunque li creammo.
E poi cominciai a fare pubblicità strisciante ovunque, dagli scout al coro, ai miei colleghi universitari, ai miei amici a MT; e mi germogliò nella testa il pensiero che quel gruppo avrebbe potuto diventare qualcosa in più (sempre inconsciamente), quindi organizzai cene, uscite, etc etc.
Passati cinque o sei mesi (il preventivo si era allungato ancora di altri tre), uscito dalla crisi mistica, passata anche la mia laurea, insomma con il cervello più libero e lucido, detti un'occhiata indietro e mi resi conto che avevamo costruito dal nulla qualcosa che poteva diventare davvero bella e grande, che però era ancora in un limbo informe. Per di più, incombevano gli spettri della stanchezza e della sfiducia, e infatti uno di noi ci disse bye bye, e fummo costretti a trovare un rimpiazzo, quando ormai mancava pochissimo (quindi preventivo allungato di altri tre mesi); e a causa del rinvio, per motivi di lavoro, anche Stefano dovette mollare. Così promuovemmo Filippo, la new entry, al ruolo di Fabrizio, e restò un vuoto da colmare che fu riempito dall'ottima altra new entry Daniele.
Ora, non so come descrivere Filippo se non come un dono del cielo. Allegro, simpatico e pieno di energia, ma anche equilibrato e ragionevole, era proprio la medicina che serviva a guarirci dal pessimismo in cui eravamo entrati. Anch'io cominciavo a sentir scricchiolare la mia fiducia, ma da quando lui cominciò a provare con noi il buio si dissipò.
Diventai un carrarmato: due o tre prove alla settimana, telefonate, sms, email, messaggi sul forum, pubblicità a tambur battente, raid in tutti i mercati per cercare costumi economici (in Montagnola ce ne siamo fatti metà), contatta qui contatta lì, e alla fine don Aldo ci ha dato il suo magnifico teatro, i genitori dei miei lupetti sono stati entusiasti di venirmi a vedere, e perfino mia sorella è venuta da Matera riempiendomi d'orgoglio.
E, nel mezzo del bordello più totale, hanno cominciato a venirmi delle idee. All'inizio erano come delle zanzare che scacciavo perchè troppo impegnato a "lavorare", ma poi mi hanno affascinato. E ho cominciato a buttare giù su carta qualche abbozzo. In breve, una dopo l'altra, ho sviluppato delle idee di spettacolo teatrale "originale" (con tutti i limiti di questo aggettivo), e ho anche cominciato a scriverne uno come si deve, con i dialoghi, le indicazioni di scena, etc etc. Al momento è incompleto ma penso di poterlo completare entro la fine dell'anno.
E il mio entusiasmo per il dopo-Locandiera cominciò ad entusiasmare gli altri; dopotutto squadra che vince non si cambia, no? E allora giù con una specie di campagna elettorale con come refrain "boia chi molla", tanto che alla fine perfino i "rinnegati" (ahahah) hanno pensato di ritornare, pur se con mille dubbi e incertezze.
Io, nel frattempo, sono partito per l'Erasmus, e insieme abbiamo deciso che per ora loro si occuperanno di fare due repliche della Locandiera, e poi metteremo in scena il Sogno di una notte di mezza estate con me come regista. Quindi potete immaginare quanto mi senta via via più impaziente, di giorno in giorno, di tornare a Bologna per ricominciare a lavorare con loro e per loro. E la mia presenza telematica si è fatta onnipresente: creato il gruppo facebook, ampliato il forum, e adesso sto costruendo (con le mie scrausissime conoscenze dell'HTML) il nostro sito, e continuo a reclutare gente in maniera più o meno velata. Insomma faccio il "mandante occulto" della situazione, in attesa di svelarmi e fare il lavoro "in chiaro"; e nel frattempo studio il teatro in maniera più analitica, per esempio sto andando (come spettatore) ad un corso che un mio amico qui sta facendo. In questa maniera mi fornisco di qualche strumento in più, perchè ok la sperimentazione, il caos creativo, però all'atto pratico e nel medio-lungo termine la tecnica paga.

E con questo spero di aver ben risposto alla prima domanda.

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: La mia avventura teatrale: Prologo / 31/05/2011

Dunque... mi si chiede di dire, nell'ordine:
  • se ho lavorato in una compagnia teatrale;
  • che ruolo ho ricoperto;
  • quale esperienza ho fatto;
  • che cosa ne ho ricavato.
Ciascuna di queste domande richiede una trattazione separata, dunque farò così: dividerò il mio racconto in quattro parti più un prologo e un epilogo, per completezza. Ed ecco qui.


Prologo 
Un pomeriggio ozioso 
dell'importanza nella vita della poca o nulla voglia di studiare.
   
Non è che ho "lavorato" in una compagnia teatrale: io l'ho fondata. E ne sono orgogliosissimo, soprattutto perchè l'ho fatto senza avere la minima idea di quello che stavo facendo.
Eravamo io, Ilaria e Cristina ai Giardini Margherita (il grande parco del centro di Bologna), dovevamo studiare ognuno per fatti propri, ma, complice la bella giornata di tarda primavera, a poco a poco chiudiamo i libri e ci diamo al cazzeggio.
Ilaria, che ancora conoscevo relativamente poco (era amica di amici), mi dice: "ma che peccato che proprio adesso sto finendo il mio corso di teatro e dato che riprendo gli studi (NdA: era stata un anno in standby) dovrò lasciar perdere la recitazione!"
E io butto lì, ma in maniera assolutamente cazzeggiona: "beh, potremmo organizzare una messa in scena amatoriale, così alla belin di cane, così ti tieni occupata con la recitazione, e anch'io avevo voglia di sperimentarmi in questa cosa!".
Fu come accendere un cerino in un deposito di esplosivi. Ilaria aveva tentato due volte di entrare all'Accademia a Roma, una volta con un monologo di Lady Macbeth e l'altra con quello di Mirandolina, e quindi mi propose le due. Io virai decisamente verso La locandiera perchè sinceramente cominciare col Macbeth, non avendo mai e sottolineo mai recitato prima, mi sembrava un po' ambizioso.
Così ci mettemmo a chiedere a tutti i nostri amici se volevano partecipare, ma poi dagli amici passammo ai colleghi di lavoro, ai coinquilini, ai tizi incontrati a un corso di arbitraggio, eccetera eccetera, e così facendo mettemmo insieme, nel giro di due mesi (mica poco, eh) nove persone, che per lo più non si conoscevano tra di loro, e cominciammo a provare.
Un putiferio, un caos, un bordello che non vi dico. Non c'era possibilità di regolarizzare nè l'orario delle prove, nè il calendario, nè le scene che dovevamo provare di volta in volta; solo con il passare dei mesi abbiamo cominciato a stabilizzarci, ad avere una programmazione almeno approssimativa, a stabilire dei ruoli e perfino ad abbozzare una regia. Ci è voluto un anno e mezzo per portare in scena quella maledetta Locandiera, e quando alla fine ci siamo trovati, dopo la chiusura del sipario, a guardarci in faccia, abbiamo detto: "e mo? Che facciamo? Torniamo ognuno per conto proprio alle nostre vite? Abbiamo passato un anno e mezzo come dei colleghi di lavoro che quando hanno finito il progetto si salutano e se ne vanno?".
Non potevamo. In quel lungo tempo avevamo costruito dei legami impossibili a spezzare così, d'un tratto.
Così abbiamo deciso di continuare.

E questo non era che l'inizio.

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: Momento nostalgia teatrale / 30/05/2011

Stamattina avevo tantissima voglia di scrivere qualcosa per la mia compagnuccia amatoriale che ho lasciato a Bologna, e mi è uscito questo. Liberamente ispirato al monologo di Oreste Campese ne L'arte della commedia di De Filippo (contaminato con quello del Cavaliere di Ripafratta).

Intro

Tump, fa l'asse del palcoscenico calpestata. Tump, tump, tump. Tre passi ed arrivo al centro. Mi giro verso il pubblico e non vedo niente, non sento niente, davanti a me c'è buio pesto. Mi rassicura. Come se non ci fosse nessuno: l'effetto placebo, almeno in questo mestiere, funziona.
Davanti a me il vuoto che plasmo con la mia voce, con i miei gesti, che riempio con quello che dico e faccio.

E dietro, i loro sguardi. Come tante mani appoggiate alle mie spalle, li sento che mi riscaldano e mi danno forza e coraggio. Affronto l'oscurità e la illumino di parole ed azioni grazie al loro sostegno invisibile, costante, delicato.

Loro sono lì che sbirciano dalle fessure delle quinte e mi sorreggono. C'è la Smilza che si aggrappa quasi con le unghie al legno quando tentenno nella battuta o dimentico qualche parola, c'è il Marcantonio che aspetta di entrare, i Fiancheggiatori che si mettono in posizione di scatto tipo centometristi, le Civettuole concentrate e serie come non mai, il Capo fiducioso che osserva imperturbabile, i Novizi che per quanto pensino più a loro stessi che a me comunque non smettono di guardarmi, come del resto farò io quando uscirò dalla porta - anzi, dal suo simulacro - perchè, per quanto concentrati sul punto geometrico del nostro Io, siamo legati come i nodi di una rete, e quello che uno fa tira inevitabilmente gli altri.

Cado, soffrono come al mio posto. Balbetto, anche a loro s'impiglia la lingua. Mi sfugge qualcosa, si stringe anche il loro stomaco. Ma se mi ergo fiero e maestoso, sono orgogliosi anche loro; se la risata mi sgorga come una fonte di acqua fresca, anche loro ridono; se mi tormento e mi batto per amore o per odio, anche loro sentono coraggio e forza d'animo.

Tre passi e sono arrivato al centro, mi sono rivolto al pubblico (che non vedo nè sento), e ho i loro sguardi sulla schiena.

E comincio.

Alla prossima
Grillo Sognatore

Repost: Recensione: "Le ragioni dell'aragosta" / 01/04/2011

Le ragioni dell'aragosta

Regia: Sabina Guzzanti, 2007




Un film che può capire veramente, nella sua essenza, solo chi è andato almeno una volta in scena. Non parlo necessariamente di spettacoli, di robe complicate: ma chi ha dovuto, almeno una volta nella vita, prepararsi un discorso da fare in pubblico, capisce fino in fondo che cos'è questo film.
Perché questo film è tante cose (è satira, certo, e anche tremenda; è un film politico nel senso stretto, nel senso che tocca la gestione delle cosa pubblica; è un film sulla comicità e su alcuni dei suoi meccanismi; parla dell'amicizia, dell'impegno personale, del coraggio di vivere i propri sogni, eccetera, ma se mi ci metto a parlarne scrivo una pagina del Morandini), ma è soprattutto, e in maniera magistrale, un atto d'amore verso la scena, verso il palcoscenico.
Inutile farci dei giri intorno: solo chi ha messo in scena qualcosa sa quant'è difficile comunicare. E per mettere in scena parlo anche del dichiararsi a qualcuno: non è forse quello il miglior testo teatrale/cinematografico che ognuno di noi ha scritto? Pensate anche, per esempio, al matrimonio. Cos'è se non uno spettacolo, l'unico magari che quella persona metterà in scena nella sua vita, ma comunque uno spettacolo? E badate, non sto dicendo che sia una cosa falsa: al contrario, lì si mette in scena la vita vera. Lì gli sposi, pubblicamente, dicono cose che se non esistesse quella cerimonia lì non oserebbero neanche confessare a se stessi. E sono tutte vere (parlo ovviamente dei matrimoni veri, non apriamo il discorso – pur importante – di quelli dii convenienza o di quelli “spettacolari” per definizione tipo quelli della star di Hollywood)!
Solo una volta che si è messo – “portato” fisicamente – in scena qualcosa, quando si sale sul palco – vero o immaginario che sia – e si deve fare i conti con la propria estensione vocale, con la propria gestualità, con le proprie espressioni facciali, i propri difetti di pronuncia, il proprio cervello che piuttosto che dire la battuta vorrebbe andare in vacanza alle Hawaii, allora uno capisce che cosa vuol dire comunicare, cercare di far uscire fuori da sé un'idea per ficcarla nelle orecchie e negli occhi di una persona.

Ma questo film è anche qualcosa in più: è il racconto della preparazione di uno spettacolo. Il vecchio gruppo di Avanzi (storica trasmissione satirica che purtroppo non ho avuto il piacere di vedere live perché avevo solo pochi anni, ma che conosco bene grazie a tutti gli spezzoni che sono riuscito a recuperare) si ritrova e deve creare ex-novo, o quasi, uno spettacolo in difesa della pesca delle aragoste in Sardegna. Ora non so se il pretesto è comunque reale o no, come non so quanta biografia c'è in quello che viene detto nel film (che è costruito come un “falso documentario” della realizzazione dello spettacolo), non mi interessa perché quello che voglio dire è un'altra cosa: qui c'è tutto il palpito del “dietro le quinte”, della creazione di un “atto teatrale” in senso stretto. E vi assicuro che è tutto vero. Come mi sono ritrovato in quello che racconta Sabina! Certo, io ho preparato La locandiera di Goldoni, la storia c'era già (anche se l'abbiamo rimaneggiata fino a poche ore prima dello spettacolo), non avevo un vero pretesto per metterla in scena se non la voglia di impegnarmi con i miei amici in questo progetto, ma tutto quello che lei ha raccontato nel film l'ho vissuto tragicamente: lo sfaldamento del gruppo, l'emergere delle tensioni tutte rigorosamente all'ultimo minuto, l'essere andati in scena senza mai aver provato lo spettacolo per intero, la coscienza dolorosissima, a mezz'ora dall'arrivo degli spettatori, di non ricordare a memoria il mio monologo (che infatti, in scena, ho improvvisato meravigliosamente: la soddisfazione personale più grande della mia vita). E soprattutto, appena prima che si aprisse il sipario, l'emergere delle grandi domande esistenziali che ti fanno sentire il vuoto sotto i piedi.
Tutto questo c'è stato, e anche altro (come ovviamente nel film c'è altro che io personalmente non ho vissuto! E meno male, aggiungerei, se no questo mi provocherebbe imbarazzanti crisi d'identità: esisto in quanto tale o sono una proiezione mentale di Sabina?), e lì c'è, raccontato, bene come io non avrei mai saputo fare.
Ovviamente, la mia esperienza è andata a buon fine: in scena siamo stati grandissimi, chi non ricordava le battute ha improvvisato ed è andato alla grande, il pubblico si scompisciava, ha gradito le nostre personalissime aggiunte al testo goldoniano (la prova del nove: perché Goldoni lo sappiamo che fa ridere, ma bisognava vedere se anche noi come drammaturghi non eravamo delle pippe), finito lo spettacolo abbiamo riso delle nostre litigate che ci sono apparse com'erano, cioè delle grandissime pippe mentali. Mò non voglio dire che sia stato perfetto: abbiamo avuto le nostre défaillances, però il 95% è andato bene, ed è molto di più di quello che ci aspettavamo.
Per il finale del film, ovviamente, non vi svelo niente se no che razza di recensione è.

Alla prossima
Grillo Sognatore