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lunedì 30 gennaio 2012

Repost: Le licenze poetiche - Parte I / 12/11/2010

[Lettori affezionati e non! Vi avevo promesso questo mini-saggio sulle licenze poetiche ed ora lo pubblico, sperando che sia di vostro gradimento. L'ho scritto in questa primavera.]

Le licenze poetiche

Parte I: Un breve excursus storico

Un po' di tempo fa rimuginavo su una cosa che mi fece notare una persona molto acuta: che cioè scrivevo sempre “affianco” e non “a fianco”. Non fraintendete: non è che fosse diventata la mia nevrosi principale. È che mi ha fatto pensare che effettivamente facevo quest'errore da anni, senza che nessuno me lo facesse notare. Lì per lì non ci volevo credere, tornato a casa ho controllato sullo Zanichelli ed effettivamente si, “affianco” non esiste.

“Ma come” ho pensato, “suona così bene! Possibile che ogni volta adesso dovrò scrivere “a fianco” anche se spezza il ritmo della frase, del verso se in poesia - perchè ho scoperto con orrore che l'avevo scritto anche in alcune poesie - ? Scritto staccato suona così formale!”

E così, in un primo momento, mi sono messo a riscrivere tutte le poesie in cui c'era “affianco”. Una volta corrette, però, mi facevano proprio schifo! Ho deciso allora di lasciarle scritte sbagliate, come questa frase, perchè si. Perchè mi sono ricordato che esistono le licenze poetiche, solo che questa espressione mi aveva sempre dato fastidio e l'avevo auto-censurata dal mio vocabolario.

Che cos'è, o meglio cos'era in origine una licenza poetica? Una deroga alle regole grammaticali per cui un poeta, per rispettare la metrica, si vedeva costretto ad usare un plurale al posto del singolare o viceversa, e un presente al posto del passato remoto, o ad accorciare o allungare una parola di una sillaba, e mille altre stronzate del genere.

Questo quando scrivevano quei fissati dei Greci e dei Romani, che avevano inventato mille tipi di versi dove quello che contava era la durata della sillaba, solo perchè quei disgraziati autori dei poemi omerici non potevano scrivere e facevano così per buttare giù a memoria
tutti quei versi. I Latini, da bravi copioni, avevano continuato a fare questo tipo di poesia per cui, se una parola non andava in un verso, la dovevi tagliare o storpiare in qualche modo. Ragazzi, quelle si che erano licenze! Ve lo immaginate se noi, adesso, dovessimo scrivere in un tema “ieri mangerò una torta”? Giù insufficienze a manetta. E già ci impiccano per un congiuntivo mancato!

Quando i Romani andarono a farsi benedire per colpa della loro politica fiscale “creativa” e perchè non riuscivano a tenere al governo uno per più di un anno (vi ricorda qualcosa?), gli scrittori medievali, ancora convinti che la latinità fosse il non plus ultra, continuarono
per un po' a fare questi esercizi di funambolismo (e soprattutto di bilinguismo: parlavano in una lingua e scrivevano in un'altra), finchè non ci si stancò e si cominciò a scrivere ognuno nella propria lingua. Le licenze poetiche diventarono sempre meno tollerate, perchè si affermò la divisione degli stili (alto, mediano e basso) che prevedeva anche la divisione del lessico: in pratica, c'erano parole tabù se qualcuno doveva scrivere una tragedia, una poesia d'amore, una novella, o “tipi di frase” tabù, insomma non si poteva sgarrare. Fu l'ultimo periodo d'oro della retorica, spostata dall'ambito giudiziario in quello letterario: sbucarono come funghi trattati e trattatelli su “come scrivere”, pieni di regole rigidissime che se non rispettate rendevano un testo “brutto”. Tutto era sorvegliatissimo: ed era normale che, dopo qualche secolo, qualcuno si stancasse. Arrivò il Seicento e Giambattista Marino disse: “del poeta è il fin la meraviglia”. Tutti i poeti dovevano stupire! Le regole allora cominciarono a stare strette, ma ancora non si poteva disfarle (s'era in un tempo di monarchie assolute, non dimenticatelo), quindi si cominciò a corroderle dall'interno: nel volgere di qualche secolo, la metrica andò a farsi benedire e tutti pensarono “adesso siamo liberi”.

Magari! Quello che i retori avevano mollato, se lo ripresero i grammatici: ed ecco nascere le grammatiche normative, quelle cioè che usiamo adesso a scuola. Perchè? Perchè nel frattempo il crescente sistema capitalista aveva imposto il livellamento della lingua. Serviva che tutti parlassero, e scrivessero, nella stessa maniera, per poter essere “intercambiabili”. Il consolidamento degli Stati nazionali ha fatto il resto: e adesso, guai appunto a sgarrare un congiuntivo!

La licenza poetica, però, va rivalutata. A parte che adesso è largamente praticata, nel senso che non esiste nessuno scritto che non ceda alle cosiddette “influenze del parlato”: il problema non è questo. È che consideriamo ancora il parlato inferiore allo scritto, qui sbagliamo. E da qui riprendiamo il discorso la prossima volta.

Alla prossima
Grillo Sognatore

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