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lunedì 30 gennaio 2012

Repost: Bugiardo... e diffidente / 11/02/2011

“It's no secret a liar won't believe anyone else”
(U2 – The fly, dall'album Achtung baby, 1991)

“Non è un mistero che un bugiardo non creda a nessuno.”

Ecco spiegato il perchè del mio scetticismo innato: sono uno scrittore, quindi un bugiardo per definizione.

Chiariamo una cosa: non esiste scritto che non sia falsificato. Uno può scrivere anche tutta la verità sui fatti, eppure tacere sui suoi sentimenti. Resta un bugiardo. E io non faccio eccezione: anche quando mi propongo di essere completamente sincero, non riesco a non notare come in ogni cosa che scrivo un pezzetto della verità venga meno. Allora mi metto a riscrivere, cancello, modifico, integro ma alla fine manca sempre qualcosa. Un particolare che vorrei mi servisse per completare il quadro è completamente incongruo in una certa posizione: decido allora di spostarlo altrove. Cos'è questa, se non una falsificazione? Il lettore verrà comunque a conoscenza di quel dettaglio, ma nel modo e nei tempi in cui l'ho deciso io. É verità, ma parziale, strumentalizzata, rimodellata. Una bugia, né più né meno.
   
Pazienza, di meglio non so fare. Io ho in testa un'idea ben precisa della verità: la verità è “l'accaduto”, ovvero ciò che sono riuscito a registrare io dell'accaduto con i miei sensi, più quello che hanno registrato altre persone (quante più riesco a sentirne, meglio è), più le congetture mie e di queste persone, più la mia conoscenza dei fatti pregressi, più (quando è possibile) dei documenti che comprovino qualcosa. La “verità giudiziale” se vogliamo chiamarla così. Una verità in cui io sono il giudice costretto a fare pesanti intermediazioni tra lo schema mentale di accusa e difesa (sui cui banchi, ora in una veste ora nell'altra, ci sono sempre io: è un conflitto di interessi senza fine).

Insomma, una verità impossibile da determinare in maniera assoluta, ma sempre ricorrendo a circostanze, attenuanti o aggravanti, pregiudizi, idee prese in prestito da chi – suppongo – ne sa più di me su un tale argomento. Per cui accetto serenamente che sarò sempre costretto a dire una bugia sopra l'altra, a falsificare l'accaduto facendolo diventare un flashback, un ricordo, un dialogo, una supposizione, anche quando così non era (è il motivo per cui mi riesce così facile scrivere apologhi, cioè trasformare in fatti i pensieri, o gli episodi reali della mia vita in fatti immaginifici, ambientati in altre epoche, in altri contesti, in realtà alternative).

Questo non vuol dire che ogni volta che affermo “sarò sincero” il lettore debba mettersi in attesa della prossima macchinazione che effettuerò contro la realtà. Al contrario: se dico di essere sincero, provo sempre ad esserlo (sempre nei limiti descritti prima). Di solito avviso, quando mento, e lo faccio in maniera plateale: quando metto in bocca a personaggi inventati delle frasi vere, la prima cosa che faccio è di dare a questi personaggi dettagli che ne smascherano subito la finzione: date e luoghi di nascita o di incontro (con me, di solito) simbolici, punti di riferimento parodistici, anagrammi come nomi, eccetera. Però poi si passa al sodo e i miei personaggi cessano di essere macchiette per diventare persone che parlano di Dio, della morte, o del tradimento: da dove vengono queste frasi, questi dialoghi? La maggior parte è reale, solo resa in maniera più mossa, per far venire voglia al lettore di continuare; ma il loro contenuto è reale, per quanto me lo possano consentire i miei sensi.

Se sono sincero, di solito non dico niente e parlo di quello che ho in mente, così come ce l'ho in mente, senza modificarlo troppo, mantenendo a volte anche gli errori di grammatica e sintassi; ci aggiungo giusto qualche dettaglio per chi magari non dovesse conoscerlo. È il metodo migliore che ho trovato, finora, per “dire la verità”.

Ci sono ovviamente diversi gradi: il migliore è quello in cui, dopo essere riuscito a scrivere una prima versione assolutamente sincera, scritta di getto con tutto quello che avevo da dire in disordine, riesco con tagli e correzioni a renderla leggibile e stilisticamente coerente, cercando di eliminare meno dettagli possibili. È il modo in cui, per esempio, scrivo gran parte dei miei interventi sul blog, che di solito sono sempre scritti offline e poi riversati online. Lì la gente deve poter capire subito chi sta parlando, di cosa e perchè, e non di rado mi capita di dover aggiungere spiegazioni vere e proprie, perchè il fatto non sia frainteso. Ma queste spiegazioni sono quasi sempre introdotte in modo che si capisca che sono postille, aggiunte al fatto e non ne fanno parte. Non mi piace che il lettore pensi che voglio dargli spintarelle nella “mia” direzione, non quando parlo di fatti veri. Io spiego ed è logico che abbia una mia idea, ma la espongo esplicitamente e senza farmi schermo di fatti manipolati.

Quando racconto una storia è diverso: lì tutto è argilla nelle mie mani, e se per esempio scelgo di raccontare un fatto vero in maniera romanzata avviso che non tutto è corrispondente alla verità. Nel caso degli apologhi, poi, non pretendo affatto di dire la verità: mescolo avvenimenti diversi, purchè moralmente simili, anche riferiti a persone diverse, mettendomi anche dalla parte del bersaglio: spesso le caratteristiche negative di questo o quel cattivo sono prese anche da me, da quello che io ho fatto o detto. Per esempio la storia di “Scapolo”: nel personaggio principale ci sono soprattutto io, ma in quelli negativi (Anna e William) non c'è un modello solo. A proposito, se volete sapere come sta andando avanti, per ora è sospesa perchè sto lavorando a D'amore e d'altre cose. Ma ogni tanto prendo qualche appunto.

Piuttosto, ho cominciato un libro tutto nuovo, sul tipo de Le città invisibili: cioè, non c'entra niente, solo il principio di base è simile. Si intitola Sognava: è un catalogo dei sogni. Non c'è una successione, è un libro che, proprio come quello di Calvino, si può aprire in qualunque punto.

Come sempre, ho cominciato parlando di qualcosa e ho finito in maniera diversa... ma non sono capace ad essere troppo coerente, lo sapete!

À bientôt!
Grillo Sognatore

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