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sabato 31 marzo 2012

Attesa 2.0

Sono stati i dieci giorni più lunghi della mia vita.
E domani comincia il giorno più lungo della mia vita.
So che i record possono sempre essere battuti... ma dato che non prevedo il futuro, per ora so solo che nell'ultima settimana e mezza le ore, i minuti, i secondi non passavano mai. Ogni istante a rimuginare sugli errori passati e presenti, e sull'incertezza del futuro.
Mai avuta tanta insonnia tutta insieme (quando dovevo fare qualche esame si, ma non durava più di una notte, due al massimo); mai stato così nervoso in continuazione, senza soste, senza pause. Mai avuto così tanta paura di deludere gli altri. Stanotte ho pensato che l'alcool potesse darmi un po' di meritato sonno: manco per idea. Dopo sei ore ero lucido, senza sveglia né niente. E ora, il solo pensiero di avere davanti a me altre 15 ore da passare prima di tornare a letto, mi mette angoscia.
Domani un grosso capitolo della mia vita si chiude, ed è meglio così: devo tornare al "grado zero" della vita. Vabbé, quello del grado zero è un mio vecchio chiodo, che se volete vi spiegherò un'altra volta, ora il discorso è troppo lungo da fare.
Intanto, non riesco a fermare quest'emorragia di impazienza, mi esce dai pori della pelle, ha una fonte inesauribile nella bocca dello stomaco, che si stringe e si contorce dalla mattina alla sera.
Sono stato molte volte in attesa di qualcosa, ma questa è di gran lunga la peggiore. Come se il concetto stesso di attesa si fosse evoluto nella sua versione più masochisticamente raffinata: non riesco a fare quasi niente in attesa di domani mattina, non riesco a pensare per bene, non mi diverto, non mi rilasso, ho sempre i nervi a fior di pelle. Non serve a niente ripetermi che il peggio è già passato, che quella di domani è poco più di una cerimonia con tanti salamelecchi, una facciata, una messinscena per tranquillizzare i bimbi, l'ansia ribolle e non c'è verso di calmarla.
L'unica cosa che mi tranquillizza, a tratti, è il sapere che c'è una scadenza ben precisa, e che a una certa ora di domani sarà tutto finito e il mio cervello e il mio cuore potranno riposare.

Tra l'altro, stanotte arriva anche Franca che si trattiene per tutte le vacanze pasquali... una luce piccola ma comunque presente che mi aiuta a passare questo momento.

Alla prossima
Grillo Sognatore

venerdì 16 marzo 2012

Entropia.

La cosa che odio soprattutto di quando sono giù di morale è vedere la pila dei piatti aumentare, le lavatrici da fare, i pavimenti da pulire, il lavandino e il bidet riempirsi di peli, il tavolo stratificarsi di briciole, senza avere la minima voglia di mettere le cose a posto, anzi con il desiderio piuttosto esplicito di continuare a non fare niente, di lasciare che il disordine si accumuli, fino a un punto di non ritorno, fino a quando tutto strariperà dalla casa e verrà fuori per la strada.
Non so di preciso perchè mi piaccia quest'idea. Credo che in parte sia perchè voglio che tutti si accorgano che sto male, ma che lo vedano materialmente, non solo da una lacrimuccia che mi può uscire dall'occhio in un momento strano, o dal muso che metto.
Mi piace pensare che esista una manifestazione più concreta, più essenziale, del malessere. Qualcosa che si vede non da come appaiamo, ma da quello che produciamo nella nostra vita. La poesia è uno di questi prodotti, ma è fin troppo cosciente, levigata, passa dal filtro della ragione, perchè è espressione in parole di una cosa che non si può afferrare con precisione. Non la si può neanche ben classificare: malinconia? Depressione? Stanchezza? Mal di vivere?
Io una volta mi sono soffermato su una parola, che ovviamente non è esaustiva dell'argomento ma che ne esprime bene una parte: entropia.

L'entropia è una grandezza fisica che esprime la misura del disordine di un dato sistema. Il disordine diminuisce tanto più le molecole di un composto sono complesse, e aumenta quanto più sono semplici. Di solito la si usa nello studio dei gas, ma vale per qualsiasi sistema fisico, in ultima analisi anche l'universo. Le leggi della termodinamica infatti ci dicono che, per quanto possiamo perfezionarlo, ogni metodo di trasformazione della materia comprende una perdita di energia. Se separiamo una molecola complessa in due più piccole, per rimetterle insieme in quella originaria useremo più energia di quella usata per la scissione.
L'universo va avanti così ed è certo che, prima o poi, tra miliardi di miliardi di miliardi di anni, non ci sarà abbastanza energia per creare molecole complesse: tutto si ridurrà a una nebulosa di gas semplici.

Questa semplice constatazione mi ha sempre colpito più di qualsiasi altra cosa. È incredibile. Qualunque cosa noi facciamo, è come costruire un castello di sabbia sapendo che arriverà l'onda a distruggerlo. Ciò nonostante continuiamo a farlo.

Ecco, facendo questa cosa (il lasciare che la casa vada a rotoli) è un po' come mostrare nella pratica al mondo che l'entropia, se non stiamo bene con la testa, si riprende tutto quello che abbiamo costruito. Bisogna sempre stare in opera per evitare che accada. E quando sono giù, ma proprio tanto come oggi, non ho davvero voglia di impedirlo: anzi, voglio che tutti sappiano che quello che ho faticato tanto per avere e mantenere vivo sta andando a rotoli, si sta sgretolando. È un modo come un altro per dimostrare che anch'io, coglione come sono, nel mio piccolo mi impegno, non sto fermo come credono, non sono davvero un buono a nulla.

Comunque adesso vado a lavare i piatti, perchè va bene l'entropia, ma c'è una cosa che mi piace troppo dei lavori di casa: mi rilassano, mi permettono di far vagare la mente a caso senza meta. Non ci rinuncerei mai, anche se a volte li trascuro un po'.

Alla prossima
Grillo Sognatore

Senza parole.

Nella mia vita sono rimasto poche volte senza parole: pochissime davvero, e me le ricordo tutte.

La prima è stato quando ho preso così tante mazzate da mia madre, e poi da mio padre, perchè avevo portato a casa l'ennesima "F" (insufficienza gravissima, in prima elementare, perchè non facevo mai niente a scuola), ma così tante, che ho pianto per non so quanto e non riuscivo a capacitarmi di quanto i miei genitori potessero essere cattivi. Quella fu l'ultima "F" della mia vita.

Poi un paio che non descriverò.

Poi ci fu quando rimasi a terra, all'aeroporto di Fiumicino, perchè avevo dimenticato la carta d'identità a Matera. Cazzo se ci rimasi male. Avevamo organizzato il Cammino di Santiago alla perfezione, tutti partirono tranne me. E soprattutto, non smettevano di darmi del coglione.
Mi dissi allora: "questo sarà il peggior momento della mia vita. Da adesso in poi mi metterò d'impegno perchè questo rimanga il peggior momento della mia vita. Momenti così non ce ne dovranno essere mai più, finchè campo. Fa troppo male".
Non faceva male solo perchè ero stato deriso, ma perchè mi ero reso conto effettivamente in quel momento di quanto ero stato coglione. Mi stupì, nella sua semplice evidenza, la mia coglionaggine.
Non era affatto una cosa scontata: avevo 16 anni e, pur essendo così da tantissimo tempo, mi consideravo migliore. Anzi, mi consideravo proprio un'ottima persona, migliore di quelle che mi circondavano. E invece avevo appena fatto una cosa così stupida da perdere completamente la faccia.
Non avevo, semplicemente, parole che potessero esprimere come mi sentivo. Non le ho ancora adesso, a dire il vero: sto approssimando per difetto.

Poi sono morte delle persone, e anche lì non ho saputo cosa dire. La morte, mi sembrava (e mi sembra tuttora), qualcosa sulla quale non si può dire niente. Accade. È l'unica cosa davvero evidente in questo mondo, l'unica che non si può contestare. La vita può essere relativa, così non è per la morte.
E tuttavia, pur essendo momenti terribili, non hanno raggiunto quello di Fiumicino, perchè a morire non ero io. In quell'aeroporto (e poi, al ritorno a casa, e negli anni successivi, e ogni volta che lo racconto), un pezzo di me è davvero morto, quella parte vanesia di me che si credeva il centro del mondo. Col senno di poi è stato positivo, ma lì per lì, credetemi, non lo è stato.

E il record era rimasto imbattuto, fino a stasera.

Restare senza parole, per me, significa che non trovo un senso in niente, che tutto mi fa schifo, che il dolore è insopportabile. Ma questi sono sintomi successivi e più coscienti, che arrivano, appunto, dopo le parole.
Prima, quando sono stato messo davanti al fatto compiuto di non essere più ben accetto dal gruppo in cui avevo investito gran parte delle mie energie quotidiane, al punto da litigare con parenti e amici (e fidanzata) perchè non stavo dedicando loro abbastanza tempo, le parole sono scomparse dalla mia testa.
Puff. Era il vuoto. Ma non il vuoto che mi prese una volta a un esame, che anche lì non avevo parole, ma perchè la prof mi inquietava (non era la stessa sensazione, lì non era colpa mia); era un "vuoto" così pieno di tutte le cose che avrei voluto dire che stavo per scoppiare.

Anche qui, dovrò accontentarmi di approssimare: avete presente tante persone che vogliono passare contemporaneamente dalla stessa porta? Quelli erano i miei pensieri. Per lunghi minuti, niente si è affacciato alla finestrella del cervello, neanche per dire "ma ho capito bene? non è che ho frainteso?". Non c'era niente. Continuavo a girare il cucchiaino nella tazza, ma tanto per fare qualcosa.
Poi ho parlato, ma non è che lo abbia fatto davvero. Voglio dire, nella mia testa ero (e sono ancora) senza parole. Cioè, se mi chiedo: <<come stai?>> non so cosa rispondere.
Ebbene si, credo che quello di stasera sia il momento peggiore della mia vita. Direi di gran lunga peggiore di Fiumicino. Sto di merda, ecco come sto. Sto che vorrei far tornare indietro il tempo di almeno un paio d'anni e prendere a schiaffi me stesso dell'epoca. Sto che avrei preferito non fare l'incontro di stasera. Sto che non so con che faccia tornare dagli amici, dai colleghi teatranti, da mia madre che mi dirà che ecco, lei aveva sempre avuto ragione, meglio così, che era tutta fatica buttata dall'inizio, e tutti, tutti senza eccezione che non potranno guardarmi che come un fallito. Sto come un fallito, uno sfigato, un buono a nulla, sto che spaccherei volentieri qualcosa in casa, se solo non fosse da ricomprare. Sto che nonostante mi si indori la pillola, sento che tutto il mio lavoro per migliorare, per diventare una persona più affidabile, più disponibile, più comunicativa e responsabile, è andato a puttane, gettato nell'immondizia. Sto come uno che ha dipinto un quadro, mettendoci dei mesi, lavorandoci in tutti i dettagli, e gli dicono che è una cagata. Sto come uno che è stato usato finchè era utile, e ora buttato nel cesso perchè non piace più, come un cavallo azzoppato che viene portato al mattatoio perchè non può più correre...
Non lo so come sto, ci provo, ma approssimo soltanto.

Mi sembra solo che, se mi domando: <<ma ne è valsa la pena, impegnarti per questi anni, promettere il tuo impegno?>> la risposta che mi viene da dare ora è <<No.>>

Vabbè.
Ora meglio andare a dormire, che domani mi aspetta una giornata lunga.


Alla prossima
Grillo Sognatore