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venerdì 27 giugno 2014

Ghost track

Tutte le storie meritano di cominciare così, nascoste, un tesoro da scoprire.

Una traccia nascosta che bisogna impegnarsi a trovare, per gustare almeno in parte la fatica dello scrittore.

Vorrei che non ci fosse bisogno di venire allo scoperto, che siano i lettori ad andare a caccia della loro prossima storia, che fiutassero le piste disseminate qua e là dagli autori.

Vorrei che ci fosse passione nel cercare la propria storia. A me succede spesso, quasi sempre, soprattutto quando ne ho appena finita una. Soprattutto se è stata particolarmente bella. Mi sento una tigre che ha appena finito di gustare la sua ultima preda, il muso ancora sporco di sangue, l’olfatto acuto come non mai, i baffi tesi a captare nell’aria il movimento della prossima gazzella.

Tutte le storie hanno il diritto di sentirsi cercate così, bramate, desiderate come la donna che non hai ancora incontrato e già ti eccita, ti stuzzica le voglie, ti rende famelico.

In fondo, tutti noi siamo affamati di storie. Solo che di solito siamo circondati da maître e sommelier ansiosi di farci assaggiare le loro ultime delizie, i loro manicaretti più prelibati, serviti con contorni fantasiosi e sgargianti. Un tripudio di salse, aromi, croste, brodi, stuzzichini, che accompagnano anche il più scialbo bollito o l’arrosto più scadente. Suonano alla nostra porta, ci chiamano al balcone, tirano sassolini alle finestre orde di cuochi che ci aspettano sotto casa per infilarci cucchiaiate di questo e forchettate di quello, che ci aprono la bocca a forza anche siamo già sazi, ci sfiniscono con una sfilza di portate una più grandiosa dell’altra. Tanto che il nostro istinto animale si sta, poco a poco, placando, anestetizzato dall’abbondanza e dalla prodigalità dei nostri carcerieri. L’homo lector è sempre più una specie addomesticata e sempre meno la belva assetata d’inchiostro che per natura è portata ad essere.

Io ho bisogno di storie nascoste e lettori capaci di stanarle, che non sappiano in anticipo cosa troveranno quando aprono il mio libro, che non sappiano nemmeno chi sono io prima di leggerlo. Non ho bisogno di attenzione, di pubblicità, ma di desiderio e paura.
Anche il predatore più temibile sente la paura, nello specifico una paura in particolare: quella che la propria preda scappi via, quella di restare a bocca asciutta, o peggio, quella di restare deluso dal sapore della preda tanto attentamente cacciata. E la preda lo sa, si nega e si concede, si lascia avvicinare e poi scarta di lato, fa crescere nel cacciatore l’acquolina e quello, senza saperlo, si trova a sognare sempre più il sapore fresco delle carni appena addentate, la morbidezza del pelo che sfugge tra i denti, la cartilagine tenera da spezzare.

Così vorrei giocare io con i lettori. Così vorrei lasciarmi prendere un po’ alla volta, senza fretta, tenendoli sulla corda, ammanettandoli al letto, sussurrando loro parole piccanti senza dare nemmeno l’ombra di una soddisfazione. Tenerli in balia del loro più grande terrore, quello della delusione. E poi, finalmente, lasciare che diano un morso succoso al centro della materia, che si inebrino del nettare del discorso, che restino appagati, sfiniti, come ubriachi per la prima volta.

19 giugno 2014

Alla prossima
Grillo Sognatore

venerdì 24 gennaio 2014

Si scrive, si gioca.

Ogni volta che la mia mano si posa su un foglio, che sia di carta o virtuale, con la mente smetto di essere me stesso, e nello stesso tempo lo sono davvero. Smetto di essere “quello che dovrei essere”, quello a cui dovrei preoccuparmi di assomigliare, e divento – o ritorno – la semplice persona che sono: una persona fatta di sogni, di idee, di fantasia.
La mia essenza è quella del viaggiatore di mondi: mondi inventati o reali, alcuni esistiti solo nella mia mente, altri già abbozzati o esplorati, altri ancora che fanno parte di un immaginario collettivo, di archetipi dai quali, come in un pozzo senza fine, poter attingere l'acqua della vita. Una vita fittizia forse, ma pur sempre palpitante. Perché il libro – la letteratura, direbbe il prof dentro di me – non smette mai di vivere. È un simbionte che si attacca a chi lo riceve, al lettore, e da lui riceve sempre nuova energia per scrollarsi di dosso la polvere e resuscitare. A prima vista lo si direbbe un insieme di fogli e parole fissate per sempre in modo statico, una statua praticamente. Non c'è nulla di più sclerotizzato, di più mummificato. Il discorso orale, quello si che è la vera vita. Ma verba volant, scripta manent, e così il discorso orale – pur se davvero “vivo” nel senso stretto del termine, pieno di inflessioni, tic, sbagli, sottintesi, gesti – si perde nel vento, ne resta, dopo pochi secondi, solo l'eco che il cervello altrui ha registrato. Un riflesso che sbiadisce dopo poco, del quale si perdono i lineamenti, che lascia solo la traccia dell'essenziale (più spesso dell'inessenziale). La parola parlata si presta solo alla falsificazione, alla manipolazione. La traccia scritta, invece, resta e si presta all'operazione più multiforme di tutte: al gioco.

Scrivere, infatti, presuppone un dato che tutti sembrano dimenticare, che solo ai grandi scrittori è dato tenere sempre a mente: che con la scrittura si gioca. Spesso è un gioco in cui ci si fa male, a volte è addirittura mortale, ma resta sempre e comunque un gioco. La scrittura non è essenziale al mondo: lo sappiamo benissimo. Chi crede sia indispensabile alla vita gioca a sua volta a fare il serio, ma si rende benissimo conto che al di là del foglio c'è solo aria. Solo, fa finta che i suoi castelli, fatti con quei stessi fogli, siano costruiti su basi di cemento e acciaio come i veri palazzi. È solo un altro costruttore disonesto come ce ne sono tanti in giro, spaccia condomini fatti con sabbia e calce come se fossero antisismici. Ma chi è furbo lo sa, che la letteratura di per sé non vale niente. Si vive anche senza: è per questo che l'unico modo per tenerla viva è giocarci, sapendo che a conti fatti le colonne del dare e avere con la vita sono sempre a zero, ma con un po' di finanza creativa, giocando con i numeri immaginari, con quelli irrazionali e sfuggendo alla tirannia di Euclide si può fare finta di essere ricchi, arrivando perfino a ingannare la Borsa, facendosi quotare giorno per giorno in su o in giù, seguendo il capriccio del cuore umano, più instabile dell'indice più ballerino.

Alla prossima
Grillo Sognatore