Pagine

venerdì 3 febbraio 2012

Repost: Recensione: "Le ragioni dell'aragosta" / 01/04/2011

Le ragioni dell'aragosta

Regia: Sabina Guzzanti, 2007




Un film che può capire veramente, nella sua essenza, solo chi è andato almeno una volta in scena. Non parlo necessariamente di spettacoli, di robe complicate: ma chi ha dovuto, almeno una volta nella vita, prepararsi un discorso da fare in pubblico, capisce fino in fondo che cos'è questo film.
Perché questo film è tante cose (è satira, certo, e anche tremenda; è un film politico nel senso stretto, nel senso che tocca la gestione delle cosa pubblica; è un film sulla comicità e su alcuni dei suoi meccanismi; parla dell'amicizia, dell'impegno personale, del coraggio di vivere i propri sogni, eccetera, ma se mi ci metto a parlarne scrivo una pagina del Morandini), ma è soprattutto, e in maniera magistrale, un atto d'amore verso la scena, verso il palcoscenico.
Inutile farci dei giri intorno: solo chi ha messo in scena qualcosa sa quant'è difficile comunicare. E per mettere in scena parlo anche del dichiararsi a qualcuno: non è forse quello il miglior testo teatrale/cinematografico che ognuno di noi ha scritto? Pensate anche, per esempio, al matrimonio. Cos'è se non uno spettacolo, l'unico magari che quella persona metterà in scena nella sua vita, ma comunque uno spettacolo? E badate, non sto dicendo che sia una cosa falsa: al contrario, lì si mette in scena la vita vera. Lì gli sposi, pubblicamente, dicono cose che se non esistesse quella cerimonia lì non oserebbero neanche confessare a se stessi. E sono tutte vere (parlo ovviamente dei matrimoni veri, non apriamo il discorso – pur importante – di quelli dii convenienza o di quelli “spettacolari” per definizione tipo quelli della star di Hollywood)!
Solo una volta che si è messo – “portato” fisicamente – in scena qualcosa, quando si sale sul palco – vero o immaginario che sia – e si deve fare i conti con la propria estensione vocale, con la propria gestualità, con le proprie espressioni facciali, i propri difetti di pronuncia, il proprio cervello che piuttosto che dire la battuta vorrebbe andare in vacanza alle Hawaii, allora uno capisce che cosa vuol dire comunicare, cercare di far uscire fuori da sé un'idea per ficcarla nelle orecchie e negli occhi di una persona.

Ma questo film è anche qualcosa in più: è il racconto della preparazione di uno spettacolo. Il vecchio gruppo di Avanzi (storica trasmissione satirica che purtroppo non ho avuto il piacere di vedere live perché avevo solo pochi anni, ma che conosco bene grazie a tutti gli spezzoni che sono riuscito a recuperare) si ritrova e deve creare ex-novo, o quasi, uno spettacolo in difesa della pesca delle aragoste in Sardegna. Ora non so se il pretesto è comunque reale o no, come non so quanta biografia c'è in quello che viene detto nel film (che è costruito come un “falso documentario” della realizzazione dello spettacolo), non mi interessa perché quello che voglio dire è un'altra cosa: qui c'è tutto il palpito del “dietro le quinte”, della creazione di un “atto teatrale” in senso stretto. E vi assicuro che è tutto vero. Come mi sono ritrovato in quello che racconta Sabina! Certo, io ho preparato La locandiera di Goldoni, la storia c'era già (anche se l'abbiamo rimaneggiata fino a poche ore prima dello spettacolo), non avevo un vero pretesto per metterla in scena se non la voglia di impegnarmi con i miei amici in questo progetto, ma tutto quello che lei ha raccontato nel film l'ho vissuto tragicamente: lo sfaldamento del gruppo, l'emergere delle tensioni tutte rigorosamente all'ultimo minuto, l'essere andati in scena senza mai aver provato lo spettacolo per intero, la coscienza dolorosissima, a mezz'ora dall'arrivo degli spettatori, di non ricordare a memoria il mio monologo (che infatti, in scena, ho improvvisato meravigliosamente: la soddisfazione personale più grande della mia vita). E soprattutto, appena prima che si aprisse il sipario, l'emergere delle grandi domande esistenziali che ti fanno sentire il vuoto sotto i piedi.
Tutto questo c'è stato, e anche altro (come ovviamente nel film c'è altro che io personalmente non ho vissuto! E meno male, aggiungerei, se no questo mi provocherebbe imbarazzanti crisi d'identità: esisto in quanto tale o sono una proiezione mentale di Sabina?), e lì c'è, raccontato, bene come io non avrei mai saputo fare.
Ovviamente, la mia esperienza è andata a buon fine: in scena siamo stati grandissimi, chi non ricordava le battute ha improvvisato ed è andato alla grande, il pubblico si scompisciava, ha gradito le nostre personalissime aggiunte al testo goldoniano (la prova del nove: perché Goldoni lo sappiamo che fa ridere, ma bisognava vedere se anche noi come drammaturghi non eravamo delle pippe), finito lo spettacolo abbiamo riso delle nostre litigate che ci sono apparse com'erano, cioè delle grandissime pippe mentali. Mò non voglio dire che sia stato perfetto: abbiamo avuto le nostre défaillances, però il 95% è andato bene, ed è molto di più di quello che ci aspettavamo.
Per il finale del film, ovviamente, non vi svelo niente se no che razza di recensione è.

Alla prossima
Grillo Sognatore

Nessun commento:

Posta un commento