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venerdì 22 marzo 2013

Book of the week 1: Chi ben comincia... è all'inizio, diamine.

Da qualche parte si deve pur cominciare. L'inizio, uno dei due grandi crucci dello scrittore (l'altro, come potete ben immaginare, è la fine, ma non parliamone ora). Ma non mi voglio addentrare in questo terreno paludoso, sarebbe troppo.

Da qualche parte dovevo cominciare con questo progetto, dovevo prendere in mano un qualche libro e dire: "oh si, è da te che comincio". E quale avrei potuto scegliere? Sarebbe stato meglio buttarsi sul comico, sul poetico, sul tragico?
Ho avuto un pensiero megalomane: la Divina commedia. Ok è vero, non l'ho letta tutta tutta (mi manca qualche pezzo del Paradiso), ma la conosco abbastanza, no? Un po' di più della media di chi dice di averla letta.
"Questo è barare, cavolo!"
Ho detto che avrei recensito cose lette per intero!
"Si, ma la regola n. 8 dice che il lettore ha il diritto di saltare le pag... oh".

E qui, il Nirvana. La rivelazione somma. Il Dado Tratto.

Da qualche parte si deve pur partire, no?
E allora perchè non partire dall'indice, dall'inizio, dal "grado zero" della lettura?
Perchè non scegliere il libro che più di tutti mi ha illuminato su quanto sia bello leggere e prendersi tutte le libertà del mondo, anche nei confronti dell'autore? Quello che mi ha fatto venire la voglia matta di insegnare la letteratura alle future generazioni?

Sto parlando di Come un romanzo, di Daniel Pennac.
E questa è la mia recensione, la prima di questa serie pluriennale che chissà quanto mi sfiancherà. Godetevela. Poco più di trecento parole per descrivere un'opera che ne meriterebbe un fiume (ma trattandosi di un libricino, ed essendo che io non credo che i commenti a un'opera debbano superare la lunghezza dell'opera stessa, è meglio così).

Daniel Pennac, Come un romanzo

Feltrinelli, 2005


Questo libro è stato un dono, in tutti i sensi. L'ho visto sullo scaffale di una mia amica e ho chiesto di cosa trattasse. Mi ha risposto sua madre che era suo, mi ha detto quattro parole, giusto per stuzzicarmi la curiosità, io l'ho aperto e non riuscivo più a lasciarlo. Così lei ci ha scritto una dedica sopra e me l'ha lasciato. Così. Un libro suo, "Tanto poi me lo ricompro". Uno dei più bei gesti che qualcuno mi abbia mai fatto. Non la dimenticherò mai.

Diciamoci la verità, noi lettori desideriamo sempre qualcuno che ci coccoli. Abbiamo una lista di difetti che non finisce più: siamo egoisti ed egocentrici, presuntuosi e pretenziosi, maledetti e maldicenti. Ci piace essere vezzeggiati, titillati, illusi, corteggiati fino all'inverosimile. Siamo il monte più arduo da scalare per gli scrittori. E quanto ci piace, quando si rivolgono direttamente a noi? Una cifra. È un dolce solletico al nostro clitoride mentale.
Al cinema ci spaventa: quando il treno sembra venirci addosso, quando lei guarda dritta in camera, ci sentiamo nudi, e nudi in pubblico non stiamo bene. Ma in privato, quando apriamo un libro e lo spettacolo è tutto nella nostra testa, quella nudità ci piace eccome. Anzi, ci piace farci spogliare in tutte le maniere: brutalmente, delicatamente, un velo alla volta o tutto insieme. Non ci giriamo intorno, è tutta qui la seduzione della letteratura, in uno sguardo che ci viene dalla pagina e ci chiede sempre di più, sempre di più, fino al nostro nòcciolo. Quello che non riesce a darvi questo non è vera letteratura, punto e basta.
Ma questo libro, oh, questo si che lo fa, e lo fa così bene! Pennac ci vuole propinare le sue idee sulla lettura, che è come dire sulla scrittura (ma come se fosse il gobbo che dice all'attrice “guarda in camera!”), e potrebbe scrivere come tutti un bel saggio, oppure un romanzo, e invece no: lui scrive Come un romanzo, e dice già dal titolo al lettore: dai, vieni a leggere, non ti interessa sapere come una cosa può essere “come” un romanzo?
Poi, prima di snocciolarti il suo Decalogo del Lettore (che non vi scrivo perché ve lo dovete leggere), ti costringe a fare un lungo e snodato strip-tease fino a scoprire il perché della lettura: e il fatto che la risposta sia copiata (da Balzac) non toglie il divertimento, allo stesso modo in cui non è che uno strip su You can leave your hat on non sia ancora divertente (provateci e ditemi se non funziona!).
Il Decalogo, in sè, vedete, è il meno in questo libro. Lo si può contestare finchè si vuole, si può dire che è troppo indulgente, che si vede che è stato scritto da un prof semifrustrato, etc etc... ma vi prego, leggetelo, e vi verrà automaticamente voglia di leggere ancora, e ancora, e ancora. 

Alla prossima
Grillo Sognatore

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