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mercoledì 10 settembre 2014

Appartenenza

Qualche giorno fa mi sono stupito di una constatazione molto semplice (del resto, solo le cose molto semplici sono capaci di stupirci: quasi che non ci rendessimo conto della fragile barriera che ci separava da loro).

Stavo lavorando in campagna con mio zio, potavamo gli ulivi. Ad un certo punto ero abbastanza alienato da quello che stavo facendo da permettere alla mia mente di vagare qua e là in percorsi casuali. Mi è venuta in mente una canzone, ma io stesso non la riconoscevo; sono andato avanti a fischiettarla tutta la mattina e mi andava bene così, non ci stavo a pensare troppo.

Poi, mentre stavo scaricando una fascina di rami potati nel mucchio che di lì a poco avremmo bruciato, mi è venuto da ripercorrere la storia di questa canzone, o per essere più precisi la storia di come l'avevo conosciuta, odiata e poi apprezzata.

In breve: una certa persona me l'aveva fatta ascoltare; lì per lì non mi aveva fatto impazzire, ma mi piaciucchiava. Poi ho avuto delle divergenze con questa persona, e il fatto che la canticchiasse abbastanza spesso mi aveva fatto venire in odio la canzone. Per alcuni anni, ogni volta che la sentivo accennare o che ne sentivo parlare (è di un pezzo storico del rock, per cui ogni tanto vuoi o non vuoi lo senti da qualche parte) la associavo alla persona e tac! Partiva il riflusso gastrico.

Poi un giorno, senza sapere niente di tutta questa storia, la mia ragazza la fischietta mentre siamo insieme. Istintivamente mi viene da raccontarle la storia. Lei, sapientemente, fa l'unica cosa sensata: ci ride su, scuote la testa e sbuffa.
Ebbene, in quel momento non lo sapevo ancora, ma con quella risata lei aveva "liberato" la canzone dalle influenze passate, l'aveva fatta più sua ai miei occhi, e da allora non ho più problemi a cantarla, fischiettarla, eccetera.

Di tutto questo mi sono reso conto posando la fascina di rami d'ulivo. Una piccola epifania che mi ha fatto riflettere sul concetto di appartenenza: cioé, molto spesso si insiste sull'appartenenza del singolo a qualcosa come un gruppo religioso, un'etnia, una cultura eccetera. Tutte cose molto vere, certo. Però in ultima analisi sono teorie che fanno sembrare gli oggetti (anche immateriali come una canzone) come qualcosa che interagisce con noi solo in quanto parte di un sistema ampio, per esempio "il rock degli anni '80" o "canzoni dedicate a eventi storici", e che quindi ci interessano in quanto tali (portatori di informazioni, direbbero i teorici). Ma non dobbiamo dimenticarci che le cose, a un livello più piccolo, quotidiano, appartengono innanzitutto a noi e alle persone che ci circondano, e si caricano di affetto, repulsione, diffidenza, interesse, nella stessa misura di quelli a cui appartengono. Così quel paio di ciabatte in più che tieni in casa è il simbolo di una promessa di ritorno, di ritrovi mattutini, di colazioni e sbadigli con qualcuno a cui tieni e che speri di rivedere più spesso possibile; e una canzone che prima odiavi ti rallegra la giornata perché quella persona la fischietta, perché appartiene a lei, e con lei appartiene alle cose belle a cui non vuoi più rinunciare.

Alla prossima
Grillo Sognatore

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