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giovedì 12 luglio 2012

Post qualunque 5: Delirio freudiano


Premessa: quello che leggerete è un vero e proprio delirio, come dice il titolo. Ho affastellato l'una sull'altra un milione di idee che mi giravano in testa, delle quali dovevo liberarmi per andare avanti nella realizzazione della tesi. Il succo è più o meno chiaro, abbastanza comprensibile. Poi c'è un certo numero di rivoletti secondari che da soli sarebbero spunto per svariate tesi, in varie discipline (letteratura francese, letterature comparate, teoria della letteratura, poesia del novecento, linguistica, filosofia di non so che tipo, psicologia, e forse anche sociologia), insomma: mi sembra che la mia mente si stia frantumando in tanti pezzi che se ne vanno in tante direzioni diverse, per cui avevo bisogno di ordinare almeno una parte di queste idee, sperando che non tornino a tormentarmi.
Chissà, magari fra qualche mese da questi spunti esce fuori un saggio carino.


Viene quasi da pensare che è nel sogno che Rimbaud aveva ragione. IO è un altro.
Non cessano di stupirmi le cosiddette “frasi poetiche”. Perché provocano uno sconvolgimento così grande, una suggestione così potente? Senza dubbio dev'essere perché toccano qualcosa che dev'essere universale. O meglio: forse le singole frasi poetiche sono sempre “particolari”, colpiscono una certa parte politica, una certa generazione (o fascia d'età), un certo genere, una classe di uomini, etc; ma la “frase poetica” in generale colpisce tutti, cioè ce n'è sempre una che riesce a colpire qualcuno; si dice “frase ad effetto” non a caso, voglio dire! Non c'è uomo immune dal fascino della parola inaudita, dal fatto che il linguaggio a volte scavalca se stesso e diventa qualcosa che non è di questo mondo.
Mi rendo conto che a volte carico troppo la parola di un significato mistico. Ma per me di mistico non c'è niente: nel senso che mi stupisco di trovarlo ovunque, proprio nonostante il fatto che non esista. Il mio è piuttosto uno "stupore mistico": il mio cuore (qualunque cosa significhi) lo spera, lo cerca, cerca di convincersi continuamente e caparbiamente della sua esistenza, il mio intelletto, come un papà buono e saggio, sa che non è vero e se a volte lo lascia fare è soltanto perché possa imparare l'amara lezione e starsene più tranquillo la volta dopo.
A volte il linguaggio diventa qualcosa che non è di questo mondo (cioè poesia): ma il mondo di cui parlo è semplicemente la nostra rappresentazione. Cioè il linguaggio ci fa scavalcare le barriere della nostra rappresentazione e ci fa cogliere qualcosa del mondo che, se ci mettessimo a fare tutti i ragionamenti del caso, tutte le osservazioni scientifiche etc etc, non riusciremmo a cogliere. È come se tutti i neuroni si mettessero a lavorare insieme e ci permettessero di saltare in avanti di secoli nella conoscenza. Infatti spesso si fa una scoperta che si rivela essere stata espressa da un verso di qualche poeta (o brano di qualche romanziere) qualche secolo fa... e noi a gridare “oh stupore e meraviglia”! Quando invece abbiamo semplicemente sottovalutato il nostro cervello e attribuito a quel poeta un “eccesso di fantasia”, una “capacità visionaria” etc etc... sembra che lo ammiriamo, in realtà lo stiamo svalutando. Poi si scopre che aveva ragione. Che bella ironia. Sembra che il destino dei poeti sia come quello del pollo che si vendica del suo aguzzino strozzandolo con un suo osso, dopo essere stato ammazzato, frollato e cucinato per bene nel suo brodo.

Alla prossima
Grillo Sognatore

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